Aggiungiamo un tassello alla rubrica dedicata ai leader etici parlando di come affrontare il problem solving ovvero il processo che da un problema porta alla sua risoluzione. Mi farò accompagnare in questo percorso da un leader d’eccezione, Martin Luther King. Nella sua Letter from a Birmingham Jail [lettera dalla prigione di Birmingham] egli afferma che per crescere serve una tensione non violenta e costruttiva: pensiamo a quella di una nuova vita che si fa spazio nel ventre della madre o di un chicco di grano che sbuca dalla terra. Anche l’azienda, come ecosistema in evoluzione, necessita di cambiamenti e mutamenti per progredire. Ecco allora alcune riflessioni sul comportamento dei leader nella gestione delle tensioni interne.
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Il leader “serve” l’azienda e i collaboratori
Martin Luther King si presentava dicendo “ho l’onore di servire come Presidente …” identificando il ruolo di leader come colui che è al servizio del suo gruppo. Il compito che è chiamato a svolgere un “capo” è spesso duplice:
- raggiungere i risultati – essere quindi uno specialista di organizzazione, pianificazione, controllo –
- e orientare la squadra motivandola. Per assolvere a questo secondo mandato egli dovrà diventare uno specialista delle relazioni.
Risolvere problemi alla squadra è certamente un modo veloce e efficace per affermare la leadership ed infatti molti manager descrivendo il proprio ruolo dicono “mi occupo delle grane”, ma siamo certi che sia solo questo ciò che ci si aspetta da un responsabile?
Facilitatori vs Risolutori
Quando ci poniamo di fronte ad un problema, abbiamo due modi di affrontarlo: occuparci in prima persona della risoluzione o usare la nostra squadra attivandola nella ricerca del miglior risultato. Il secondo atteggiamento è più produttivo ed esalta il ruolo di un vero leader ma richiede capacità di delega e fiducia nei collaboratori: doti non sempre diffuse! Tra lasciar agire i nostri uomini, assumendoci le responsabilità del loro operato, o sostituirci a loro rischiando di svilirne la professionalità, la scelta può diventare difficile. La tentazione di lasciare perdere, ignorando il problema nella vana speranza che si risolva da solo, alla lunga risulta però controproducente: è necessario infatti uccidere il “mostro” finché è piccolo.
Costruiamo insieme una strategia d’attacco distinguendo due tipologie di problemi: quelli risolvibili in autonomia dai nostri collaboratori e quelli che richiedono invece il nostro intervento diretto.
Quando il problema è del collaboratore
Questa tipologia di difficoltà si genera nelle attività quotidiane, nel rapporto tra colleghi o nella vita privata delle persone, ambiti in cui il management non è direttamente coinvolto. Non saremo quindi chiamati subito in causa; bella notizia, ma dobbiamo ricordarci che se non prontamente risolto il problema coverà fino ad inficiare la produttività dell’intero nostro team. Spesso il collaboratore in difficoltà, per paura di ingigantire la cosa, ricevere un rimprovero o “disturbare” il capo, manda segnali criptici. Al leader che vuole “anticipare” le soluzioni non resta quindi che affinare i sensi: sbuffi, silenzi, nervosismo, frasi generiche d’insoddisfazione dovranno allertare il nostro sesto senso. Suggerisco di utilizzare frasi che invitino al dialogo come “ti va di parlarne?”, “Ti ascolto”.
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A quei manager che hanno un rapporto difficile con il tempo dico che ascoltare i propri collaboratori è il modo migliore di ottimizzare il flusso di lavoro: aiutarli a risolvere un problema in fase iniziale ci permetterà di non doverne affrontare successivamente uno più grosso.
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Quando il problema è del leader
È il caso in cui la soluzione richiede un intervento diretto del capo per l’impossibilità del collaboratore di agire (non ha le deleghe, le competenze o le capacità necessarie) oppure perché non si è reso conto di trovarsi davanti ad un problema o addirittura di esserne la causa. Ad esempio se qualcuno della vostra squadra arriva “puntualmente” in ritardo, fatica ad assumersi le sue responsabilità o commette imprecisioni, sta a voi trovare il modo di informarlo stimolandolo ad un cambiamento. Richiamare qualcuno non è mai facile, ma anche in questo caso la tecnica del “lasciar correre” è da evitare: quando, ormai esasperati, non potrete più fare a meno d’intervenire, rischierete di ritrovarvi davanti a qualcuno stupito dalla vostra durezza.
Ricordiamoci che il cambiamento non può essere imposto solo grazie al potere gerarchico: se vogliamo ottenere una reale e autentica evoluzione, dovremmo usare molto di più che i nostri “gradi”. Una buona tecnica è quella del win win, che porta a trovare una soluzione condivisa basata su obiettivi e valori comuni.
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Qualsiasi sia la difficoltà che state affrontando, ricordatevi che più sarete in grado di condividerne la soluzione con il vostro team più ne rinforzerete le dinamiche interne, ottenendo maggiore efficienza e affermando la vostra autorevolezza.
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Guardate al ruolo di leader con spirito di servizio perché come dice un altro grande personaggio dei nostri giorni.
Se vogliamo consegnare migliorato, alle generazioni future, il patrimonio ambientale, economico, culturale e sociale che abbiamo ereditato, siamo chiamati ad assumerci la responsabilità di operare per una globalizzazione della solidarietà … come atteggiamento morale, espressione dell’attenzione all’altro in ogni sua legittima esigenza.
Papa Francesco.
| partem claram semper aspice |
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