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In questo articolo esploro il concetto di verità, distinguendo tra la “Verità” (assoluta) e le “verità” (soggettive) nelle relazioni personali e professionali, con particolare attenzione alla vendita.
Attraverso una riflessione sul pensiero di alcuni filosofi – in particolare Kant e Benjamin Constant – analizzerò insieme a voi i principali dilemmi etici legati alla trasparenza nella comunicazione. Due esempi pratici tratti dalla mia esperienza aziendale ci aiuteranno a capire come la percezione della verità possa influenzare relazioni e decisioni, dimostrando che, mentre la Verità assoluta è inaccessibile, le verità relative modellano le dinamiche interpersonali e commerciali. Concluderò sostenendo la necessità di un equilibrio tra sincerità e pragmatismo nella costruzione di relazioni etiche e sostenibili.
Alla ricerca della Verità.
Un detto popolare dice che la verità fa male e di certo tutti ne abbiamo fatto esperienza, nelle relazioni intime, sul lavoro e ovunque ci sia capitato di essere in relazione con qualcuno. Ma perché ci fa male? Se riflettiamo su questa semplice domanda la prima cosa che ci viene da chiedere è di quale verità stiamo parlando? Quella che ci raccontano gli altri o quella che racconto io? In altre parole, esiste una verità che io asserisco e una che ascolto. Sono due cose diverse sebbene vogliano affermare la stessa cosa. Da qui è importante fare una prima distinzione tra quella che chiamiamo Verità e quelle che sono le verità e successivamente comprendere come queste si declinano nella vendita.
Voglio partire dalla Verità (con la maiuscola e singolare) prendendo spunto dalla riflessione del filosofo tedesco Immanuel Kant che ci invita a ragionare su questo paradosso:
Immaginate che all’improvviso qualcuno bussi alla porta, la aprite e vedete che si tratta di un vostro amico che spaventato e ansante chiede di entrare per nascondersi da un assassino. Lo fate entrare, lo nascondete e chiamate la polizia, tuttavia, mentre state aspettando, bussa l’assassino. Dopo avervi convinto ad aprire l’assassino vi domanda dove sia la persona che sta cercando. Cosa fare? Mentire e proteggere il propio amico o dire la verità?
In molti riterranno che rispondere alla domanda non ha senso perché la risposta è scontata tanto da poterla archiviare. In realtà la domanda non è per nulla banale anzi è uno di quei casi nei quali è più importante la domanda che la risposta. La risposta di Kant è che dire la verità è la cosa migliore in quanto noi non abbiamo mai il diritto di mentire perché farlo pregiudicherebbe la possibilità stessa di fidarci gli uni degli altri. Per Kant la menzogna è la più grave violazione del dovere di un uomo.
Verità assoluta e verità soggettiva.
Ma lasciamo per un momento il dibattito filosofico e Kant (che di amici ne deve aver avuti pochi) e immaginiamo di essere di fronte ad un cliente. Dobbiamo dargli delle cattive notizie che potrebbero compromettere il futuro della relazione. Cosa è meglio fare? Dire al cliente le cose esattamente come stanno oppure manipolare la situazione e comunicare solo ciò che può essere accettato?
Nell’azienda per cui lavoro si sono verificati due episodi simili che fanno riflettere.
Nella prima si è trattato di comunicare ad un importante cliente una difficile situazione finanziaria per la quale si chiedeva il suo aiuto, nella seconda si è voluto coinvolgere tutti i responsabili di reparto in una riunione per condividere il difficile status di salute aziendale.
Entrambe le situazioni sono state gestite con l’intenzione di coinvolgere in modo trasparente clienti e collaboratori, tramite quello che può essere definito un modello di leadership condivisa. Il risultato però non è stato univoco ma ha generato sia esiti positivi che negativi in funzione della percezione e interpretazione della verità da parte di ognuno degli interlocutori.
Nel caso del cliente sono arrivati più ordini nel breve periodo a supporto dell’azienda ma si è anche intaccata la fiducia nei nostri confronti, mentre nel caso dei collaboratori si è generato un clima di maggior coinvolgimento ma ci sono state anche le dimissioni di un responsabile incapace di gestire “tutte queste verità”.
La comprensione della verità quindi è soggettiva, non solo, alcuni di noi potrebbero non esser pronti a sopportarne il peso ed accettarne le conseguenze.
Come agire quindi?
Verità ed etica nel business.
Da un punto di vista etico i due casi riportati ci parlano di quella che è nota come trasparenza: la capacità di mettersi a nudo e di mostrarsi come si è, senza snaturarsi. A questa qualità va affiancata l’abilità di dire il più possibile la verità in un modo che la renda comprensibile al proprio interlocutore, senza che diventi così dannosa. Quest’ultima dote va a favore di una vendita etica.
Se accettiamo che lo scopo di una relazione commerciale è soddisfare entrambe le parti in causa – quindi con-vincere – allora è lecito, anzi necessario, per un venditore chiedersi quale sia il giusto approccio con il cliente che permetta di essere trasparenti senza snaturarsi e al tempo stesso venir compresi senza essere esclusi. Preferire la trasparenza alla comprensione significherà infatti scegliere di privilegiare il proprio punto di vista, al contrario sacrificare la prima a favore della seconda, adottando solo la visione del cliente, potrebbe allontanarci dalla realtà.
Verità e responsabilità.
La Verità, quella al singolare, è qualcosa che chiediamo a tutti (anche a noi stessi) ma che nessuno sa dire esattamente cosa sia. Dal punto di vista di Kant affermare la Verità, oltre ad essere un dovere morale, porta con se la conseguenza di liberarci da ogni responsabilità. Kant quasi in modo messianico, in analogia con l’evangelista Giovanni, scriveva infatti “la verità vi farà liberi”.
Nella critica mossa a chi sostiene il principio morale della Verità, come Kant, troviamo tutte le declinazioni e i limiti di una verità tout court legati appunto all’ambiguo rapporto tra verità e responsabilità. Secondo Benjamin Constant la verità può essere detta “solo a chi il diritto di ricevere la verità come risposta” e a chi – in un certo senso – è pronto ad assumersene la responsabilità ed accettarne le conseguenze. Il pensatore francese affermava che di dire la verità in senso assoluto renderebbe impossibile ogni società. Pertanto l’assassino del primo paragrafo non ha il diritto di ricevere la verità in risposta alla sua domanda perché le conseguenze sarebbero terribili, dovremmo quindi in quel caso assumerci la responsabilità di tacere per un bene superiore.
Va da se che dire sempre la verità nel mondo della vendita renderebbe impossibile qualsiasi commercio, acuendo i conflitti di interesse e
de-responsabilizzandoci rispetto a quello che a nostro avviso è il nucleo centrale della Vendita Etica: trovare un punto d’incontro tra la mia e la tua realtà.
La vera conclusione.
Non è facile parlare di Verità in questo mondo, forse perché non gli appartiene. Essa come l’energia che viene dal Sole scendendo sino a noi necessità di essere declinata in una forma comprensibile, diventando luce. Vero è ciò che conosco in questo istante e pertanto vere saranno le mie opinioni, sebbene rappresentino un grado di verità molto parziale e ridotto. Più corretto è quindi parlare delle verità che, partendo dal nostro modo soggettivo di vedere e comprendere, ci informano sulla realtà.
La verità appartiene alla cosa e solo ad essa , il che equivale a dire che ognuno di noi è verità solo di se stesso.
| partem claram semper aspice |
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