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di Alice Alessandri.

Avete presente il meme “é uno sporco lavoro ma qualcuno dovrà pur farlo”?  Questa frase pare fatta apposta per esser pronunciata da un qualsiasi addetto al customer care. Il loro lavoro infatti può essere davvero durissimo, dovendo gestire spesso clienti arrabbiati, ma è assolutamente necessario. Chi d’altronde al giorno d’oggi si affiderebbe ad aziende e organizzazioni che, dopo l’acquisto, non fossero in grado di offrire assistenza e risolvere problemi? Proprio alla risoluzione di problemi è affidata la soddisfazione dei consumatori, da cui poi deriva la reputazione e il successo commerciale. Visto allora che tutto gira lì intorno, occupiamoci di capire cosa è e come si sviluppa l’attitudine al problem solving.

Cosa si intende per Problem Solving.

Il problem solving è l’insieme delle tecniche e degli strumenti atti a risolvere i problemi. Avere metodo per affrontare le situazioni critiche è importante perché permette di reagire tempestivamente, trovare soluzioni in minor tempo e con minimo sforzo, replicare le buone prassi, comprendere gli errori così da non ripeterli, ma anche collaborare più facilmente contribuendo a creare una cultura incentrata sui valori dell’aiuto e del supporto reciproco.

Nella realtà esistono diversi tipi di problemi contestualizzati in altrettanto diversi ambiti e parlare di un metodo unico per affrontare il problem solving è impossibile. Sono state infatti sviluppate numerose tecniche, codificate da psicologi, esperti di organizzazione aziendale, designer e chi più ne ha più ne metta. Pur nella varietà di approcci ciò che è certo è che avere metodo garantisce efficienza. Per quanto ci riguarda ci concentreremo sul problem solving dedicato al customer care e per semplificare lo suddivideremo in 3 passaggi il primo dei quali è dedicato alla comprensione del problema stesso. Si perché, a volte, capire il problema è più difficile che risolverlo. 

Problem Solving
Schema Problem Solving © Passodue

1° passaggio: analizzare il problema.

Che si tratti di un cliente, di un fornitore o di un collega, egli vivrà come problema ogni ostacolo che gli impedirà di ottenere il risultato che aveva in mente. Messo di fronte ad una difficoltà ognuno di noi si fa un’aspettativa rispetto a come dovrebbero andare le cose. Nella descrizione che ci farà del problema, il nostro interlocutore tenderà quindi a presentarci le soluzioni auspicate piuttosto che ciò che è realmente accaduto. Se disattendere le sue aspettative in merito alle possibili soluzioni nel breve potrebbe creargli disappunto, ricordiamoci che la sua piena soddisfazione arriverà solo se il rimedio che avremo saputo mettere in campo sarà efficace e affidabile.

Per fare una scelta oculata di tutte le opzioni disponibili ci servirà quindi capire, con la massima precisione possibile, “cosa” è accaduto e “cosa” questo ostacolo sta impedendo di ottenere, ovvero l’obiettivo finale del nostro interlocutore e non soltanto “come” vuole risolvere.


Ricordiamoci che la frustrazione generata dall’insorgere di una difficoltà può far innescare meccanismi di rabbia o paura, che spesso sfociano in aggressività.


È assolutamente naturale che ciò accada, questo ci obbligherà a gestire l’analisi dell’accaduto non soltanto in termini tecnici ma anche relazionali chiedendoci qual è lo stato emotivo del cliente e cosa più di ogni altra ha accesso la sua reazione. In ogni caso, l’errore più grande che possiamo fare in questa fase è di reagire impulsivamente senza avere le giuste informazioni, traendo conclusioni affrettate invece di prendersi il tempo per comprendere a fondo il problema.

Ma come fare se è il cliente stesso a saltare alle soluzioni? Pur ascoltando quando suggerito (potrebbe servirci successivamente) tenete presente che sta a voi guidare il problem solving dedicando tutto il tempo necessario alla fase di analisi del problema, che oltretutto è anche la più corposa e complessa. Usate la tecnica delle domande per:

  • risalire alla causa scatenante che ha generato il problema
  • valutare se c’è una causa “madre” come ad esempio qualcosa rimasto aperto dal passato, o un’origine ancora più in profondità del problema
  • capire quale è l’obiettivo o il risultato che ciò che accaduto impedisce di ottenere
  • comprendere lo stato emotivo del cliente e quello che più gli sta a cuore
problem solving customer care
Foto di Daria Nepriakhina su Unsplash

2° passaggio: individuare la soluzione e redigere il piano operativo.

Una volta che avrete raccolto tutti i dati, compresi i suggerimenti del cliente, potrete cimentarvi con la progettazione delle soluzioni. Ci sono alcuni ingredienti che caratterizzano la buona risoluzione di un problema e potremmo riassumerli così: semplicità, velocità, precisione e rispetto dei tempi, ma soprattutto empatia che è la capacità di far sentire il cliente ascoltato, compreso nelle sue richieste restituendogli l’idea che la sua fiducia sia ben riposta.


Quando si tratterà di convincere il cliente ad adottare la soluzione che avrete scelto per lui ricordatevi che dovrete affrontare una vera e propria negoziazione.


Parlate quindi in modo positivo, mettendo l’attenzione sui vantaggi. Informate in modo neutro, attraverso espressioni dirette che indichino chiaramente il risultato che il cliente otterrà. Se possibile tenetevi aperte delle alternative, in modo da avere margini di manovra nel caso in cui l’interlocutore non fosse pienamente soddisfatto dalla proposta iniziale. In questa fase soprattutto è importante concentrarsi sulla soluzione, non più sul problema. Capita invece di ingaggiare una caccia al colpevole impegnando tempo e risorse in un momento in cui bisognerebbe solo focalizzarsi sulle risposte da dare. Rimandate dunque ad un momento successivo i correttivi e i confronti con il team interno: serviranno certamente a far si che il problema non si ripeta ma possono essere affrontati più serenamente ed efficacemente dopo che tutto sarà stato risolto. 

Altro fattore fondamentale di questa fase è prendere accordi chiari, internamente ed esternamente, su scadenze, fasi del processo, tempistiche. Un piano d’intervento ben redatto e condiviso con precisione evita gli errori, rassicura e da professionalità trasformando il problem solving in un occasione di crescita a supporto del brand.

Nel tuo piano operativo non trascurare di rispondere a queste domande:

  • Quali attività sono necessarie?
  • Chi deve svolgere questa attività?
  • Di che tipo di supporto e risorse necessitiamo?
  • Che priorità hanno queste attività?
  • Quanto tempo ci vuole per svolgerle?
  • Entro quando devo dare una risposta al cliente?

3° passaggio: la chiusura del caso.

L’effetto principale della cattiva gestione di un problema è uscire dal Cerchio della Fiducia del cliente e ahimè non solo del suo. Senza un metodo per affrontare il problem solving rischiamo di bruciare sia le relazioni commerciali che quelle con i colleghi coinvolti. Tutto ciò avrà l’effetto di aumentare il numero di problemi che dovremo affrontare, innescando un circolo vizioso da interrompere quanto prima. 

Ci sono una serie di errori da evitare nella gestione del cliente e potrete analizzare i principali rileggendo l’articolo dedicato ai 10 Errori da Evitare nel Post-Vendita. State quindi attenti ad omissioni, bugie, mancanza di chiarezza, disinteresse, conflitti ecc.. ma più di ogni altra cosa non dimenticate mai, proprio mai, di compiere l’ultimo passaggio che deve contraddistinguere qualsivoglia strategia di problem solving: la richiesta di feedback finale!

problem solving feedback
Foto di Celpax su Unsplash

Un problema è risolto non quando avete fatto tutto il possibile, ma quando il vostro interlocutore dichiara finalmente di essere soddisfatto.


Non sarete quindi voi a dover mettere la parola fine al processo di problem solving, ma il vostro cliente. 

Molti di coloro che operano nel customer care hanno letteralmente paura di chiedere ai loro interlocutori “È dunque soddisfatto? C’è altro che posso fare per lei?” temendo che la risposta sia “No” o di trovarsi costretti a riaprire il caso. Che ve lo abbia detto o no, se il cliente non è ancora contento il vostro problema potrebbe degenerare in qualcosa di molto più grave, andando ad impattare potenzialmente sull’intero business. Meglio quindi ritornare indietro al 2° passaggio proponendo una nuova soluzione, se non addirittura al 1° passaggio per indagare meglio l’accaduto. 

A coloro che pensano sia ridondate indagare la soddisfazione del cliente quando si è certi di aver risolto il problema, ricordiamo che in comunicazione esiste una tecnica chiamata “ancoraggio” la quale consiste proprio nel far esprimere direttamente e pubblicamente la soddisfazione per cementarne la fiducia, portando così le persone a ritornare da noi e promuovere il passaparola.

Avere un orientamento positivo ai problemi significa cogliere l’opportunità per dimostrare il proprio valore professionale e personale, trasformare le promesse in fatti e rafforzare la relazione con il cliente. 

| partem claram semper aspice |

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Passodue, studio di consulenza e formazione, nasce nel 2012 dalla volontà di Alice Alessandri e Alberto Aleo di unire le loro esperienze per dare una svolta alla vita personale e professionale. Il progetto è basato sull’idea di cambiare la forma mentis del mercato rispetto ai concetti di “vendita”, “marketing” e “leadership” dimostrando che fare business eticamente si può e può essere assolutamente efficace.

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