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di Milena Balzani

La nostra vita – personale e professionale – è costellata da numerosi momenti di disaccordo e incomprensioni, che spesso sfociano in veri e propri conflitti. È un dato dell’esistenza, per questo dobbiamo imparare a riconoscerli e a gestirli. Mai sottovalutarli, peggio ancora rimuoverli o abbandonarli come fossero un’anomalia.

Nella vita organizzativa il conflitto – sia esso latente o manifesto – è la narrazione di una situazione che deve essere interpretata. Esso può essere segno di dinamismo o di cambiamento in atto. Può, viceversa, essere segnale di gravi problemi non risolti.

Photo by Adi Goldstein on Unsplash


L’efficacia di un’azienda si misura anche sulla capacità di affrontare e gestire i conflitti interni.


Il conflitto non gestito consuma energie, inasprisce il clima e mina l’efficacia collettiva, traducendosi spesso in grande sofferenza per i soggetti coinvolti.

Quali sono i primi segnali da non sottovalutare?

  • Una riduzione o peggioramento della qualità di comunicazione
  • Minore impegno e disponibilità sul lavoro
  • Diminuzione della produttività
  • Attivazione di canali informali di comunicazione (pettegolezzi, dicerie, voci di corridoio)
  • Minore collaborazione
  • Assenza di pro-attività
  • Messa in discussione delle indicazioni e delle procedure operative

Le organizzazioni sono chiamate a darsi un metodo per intercettare i primi segnali di “malessere” e nel contempo attivare strumenti per gestire i conflitti manifesti.


Photo by Shai Pal on Unsplash

Tre sono i passaggi fondamentali:

  1. Per prima cosa è importante prendere consapevolezza del conflitto e comprenderne la natura. Tutto ciò implica la capacità di so-stare nel conflitto, comprenderne la forma, i significati per ognuno dei soggetti coinvolti. All’interno dell’azienda ci dovrà quindi essere un tempo dedicato, una capacità di accogliere e di leggere la situazione, una modalità comunicativa e operativa per trasformare il conflitto prima che degeneri in puro scontro.
  2. Secondo passaggio: conferire valore al lavoro di tutti, offrire alle persone il senso del noi, del fare squadra, dello scopoLe persone hanno bisogno di sentirsi parte di qualcosa, di competere per una impresa “straordinaria”. Spesso le situazioni conflittuali nascono da una domanda di riconoscimento del valore del proprio contributo, tanto intensa e diffusa quanto sottovalutata e inascoltata, che alimenta le tensioni relazionali, le rivendicazioni e gli irrigidimenti. Per questo uno degli elementi cardine della gestione del conflitto è il reciproco riconoscimento. In questa direzione l’organizzazione  sarà in grado di costruire spazi inediti – dentro e fuori la routine del lavoro – dove si dia la possibilità di rafforzare la visione collettiva e la mission di tutti per mettere in luce i punti e gli interessi in comune.
  3. Il terzo passo è la consapevolezza al ruolo. Spesso i conflitti nelle organizzazioni si manifestano quando non corrispondono le competenze  individuali (quello che so fare) con le competenze attese o i compiti assegnati dall’organizzazione (ciò che mi è richiesto fare). Questa situazione provoca insoddisfazione, demotivazione, nascono non detti, frustrazioni. È importante agire sulla conoscenza reciproca dei ruoli, delle funzioni, delle mansioni e delle aspettative, per creare le condizioni perché il gruppo di lavoro possa lavorare al meglio utilizzando tutte le risorse delle persone.

Photo by Edwin Andrade on Unsplash

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È dall’incontro con il conflitto che si generano opportunità cooperative, che si aprono spazi d’intesa e di collaborazione nuovi e imprevisti.
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In realtà ciò che dovremmo cercare di evitare è la degenerazione in violenza fisica e verbale, prevaricazioni e violazioni delle regole di convivenza e coesione all’interno delle organizzazioni, piuttosto che il conflitto in se.

Chi ha il compito di gestire situazioni conflittuali in azienda sa che l’obiettivo è quello di preservare le persone e nello stesso tempo affrontare gli ostacoli che limitano la crescita collettiva e il raggiungimento dei risultati. Servono competenze dialogiche, sensibilità, attenzione all’altro e… metodo.

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