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di Canzio Panzavolta

È dagli anni ‘80 che la soddisfazione dei lavoratori è considerata un fattore determinante del successo delle organizzazioni. Si sono sviluppate tecniche, modelli e studi, per definire scientificamente quello che ad un artigiano medio o ad un operaio può sembrare ovvio: se uno è contento sul posto di lavoro rende di più. Le cose da fare per avere dipendenti più soddisfatti e più produttivi, non sono da ricercare in complicate e stravaganti tecniche di team-building, ma piuttosto in un atteggiamento da tenere nei confronti delle persone che lavorano con noi.
Prima di tutto occorre definire se veramente siamo convinti che persone più soddisfatte (“felici”) sono più produttive per l’azienda. Insistiamo su questo punto perché, se da un lato, a tavolino, tutti sono d’accordo con questo principio, dall’altro, nella pratica quotidiana, il pensiero automatico più diffuso è il seguente: i dipendenti sono tutti pronti a fregarti e, se vuoi ottenere qualcosa, li devi tenere sotto pressione, mai andare incontro alle loro esigenze per non creare precedenti (già, i famigerati precedenti!), creare regolamenti dettagliati in modo che nessuno possa eccepire niente, evitare che le persone si allarghino (cioè pensino di poter dare un contributo di pensiero),  tranne pochi “fidati” devono capire chi comanda e fare poche storie. Non bisogna dare per scontata l’idea di clima aziendale, perché il senso comune sull’argomento è sempre in bilico fra il concetto positivo e “buonista” e la prassi autoritaria, perché “la realtà è un’altra cosa”. Impegnarsi in iniziative meramente di facciata o di marketing interno, per il clima aziendale, ha spesso un effetto boomerang, come sempre quando le azioni concrete non corrispondono agli annunci. Il primo luogo in cui definire l’atteggiamento verso i dipendenti è quindi l’alta direzione; chiarito questo punto, si può procedere alle azioni di miglioramento.

Ciò che rende i lavoratori più partecipi alla vita delle aziende e soddisfatti del proprio lavoro, ruota intorno alla parola chiave “COINVOLGIMENTO”. Ci sono quattro buone prassi che aumentano la soddisfazione e la motivazione del team; meccanismi che promuovono le condizioni idonee al coinvolgimento dei lavoratori:

  1.  Discrezionalità decisionale
  2. Condivisione delle informazioni
  3. Meno comportamenti incivili (+ cortesia + rispetto)
  4. Feedback sulle performance

Queste cose non richiedono grossi sforzi o investimenti. Richiedono la presenza di leader disposti a responsabilizzare i collaboratori e a dare l’esempio. Inoltre non se ne possono scegliere uno o due dal menù: i meccanismi si rinforzano a vicenda. Ecco alcune cose da fare.

clima aziendale
Pexel Photo

 

1 – Discrezionalità decisionale:
•    lasciar decidere autonomamente
•    assegnare budget per risolvere i problemi
•    non scavalcare mai i responsabili
•    assegnare obiettivi e non compiti
•    descrivere il ruolo e non i dettagli di comportamento
•    condividere regole del gioco
•    premiare l’autonomia

2 – Condivisione delle informazioni
•    Chiarire come il lavoro di ciascuno si integra nel processo
•    Informare sugli obiettivi aziendali
•    Dare le conoscenze che servono per risolvere i problemi
•    Tenere conto che le persone capiscono le strategie se sono ben spiegate
•    Fare riunioni periodiche significative

3 – Comportamenti cortesi o almeno non incivili
•    I costi dell’inciviltà sono molto alti
•    Frasi come “il lavoro fa schifo”, “non fare ritardo come al solito”, se volessi sapere cosa pensi te lo chiederei”,  “non sei pagato per pensare”, hanno un effetto sicuro.
•    Le persone devono essere coinvolte, non mortificate

4 – Feedback
•    Sia positivi, sia negativi
•    Giudicare il lavoro, mai la persona
•    Approfittare per valutare il fabbisogno di apprendimento  o di risorse
•    Dare feedback, ma anche chiedere feedback

Come si vede non si tratta di iniziative costose o di investimenti importanti, ma non inganni l’apparente semplicità delle cose proposte: in realtà le organizzazioni che riescono a realizzare un clima coinvolgente e corroborante sono poche. Spesso ci riescono per un po’, poi si perdono in derive burocratiche o meccanicistiche. L’impegno è notevole e più complesso di quello che può apparire.

| partem claram semper aspice |

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Un percorso accademico non convenzionale insieme ad una carriera manageriale che è durata più di un decennio nel ruolo di responsabile marketing e di direttore vendite per note aziende italiane, mi hanno trasformato in un “architetto” di strategie di mercato. Nel 2011 ho fondato insieme a mia moglie Alice lo studio di consulenza e formazione Passodue il che mi ha permesso di poter mettere a disposizione dei clienti un bagaglio di esperienze e conoscenze molto vario, che spazia dall’economia, al marketing, alla gestione di reti commerciali.

Questo articolo ha 3 commenti

  1. Argomento interessante, mai abbastanza trattato, con attinenze sia di sociologia industriale che di antropologia culturale, che, in altre parole, significa che dipende tanto dalla dimensione e dalla cultura aziendale dell’organizzazione, quanto dal livello culturale degli “organizzati”.
    Manterrei, personalmente, la distinzione tra fattori igenici e fattori motivanti:

    – Meno comportamenti incivili
    – Condivisione delle informazioni/gestione dei feedback

    mentre porterei su un piano differente la discrezionalità decisionale.

    Ritengo SACRALE il rispetto delle norme di civile convivenza all’interno di qualsiasi comunità, indipendentemente dal fine per cui è costituita. A fortiori quando trattasi di comunità forzose. Gli elementi di educazione formale e sostanziale sono l’unica via per rendere la vita in comunità non solo produttiva, ma addirittura tollerabile. Ritengo questo un prerequisito ineludibile,non un fattore motivante e sarei disposto a sanzionare ogni violazione con la medesima intensità di un furto in azienda o di un sabotaggio.

    La condivisione delle informazioni è funzione diretta del grado di autonomia nel problem solving che ci si attende dai propri sottoposti, e, sopratutto del livello di responsabilità che si è disposti a conferire loro, anche tenendo in considerazione il grado di deresponsabilizzazione a cui si è disposti a far fronte. E’ una specie di “no taxtation without rapresentation”, non posso essere ritenuto responsabile di quello che non conosco.
    Ho sempre cercato di dissuadere il manager dallo scambiare informazioni davanti alla macchinetta del caffè, le informazioni vanno condivise in modo formale, attraverso una curata ed oculata pratica di management collettivo ed individuale, coronamento di una politica centrata su FORMO/DELEGO/CONTROLLO.

    Del controllo fanno parte i feedback, sia ascendenti che discendenti. Per fare in modo che non siano indiscrezioni o pettegolezzi vanno, anche questi, scambiati in maniera formalizzata, coordinata, pertinente e tempestiva, altrimenti sono chiacchiere da bar.

    Come accennavo, diversa è la mia considerazione in ambito decisionale: non credo all’eterodirezionalità nelle organizzazioni complesse. Un parere illuminante, una soluzione vincente possono venire da chiunque e quando meno ce lo aspettiamo, ma la gestione della teleologia del gesto è responsabilità di pochi, pochissimi, talvolta di uno solo. Saper ascoltare è importantissimo, saper decidere vitale. Ho imparato a mie spese che l’unica cosa peggiore di una cattiva scelta è nessuna scelta.

    A tutto questo DEVE fare da completamento un efficace sistema premiante, ma anche sanzionatorio, in modo da difendere la compagine tutta da chi volesse fare un uso improprio di tanto illuminate tecniche di management.

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