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Questo articolo esplora il ruolo dell’Intelligenza Artificiale (AI in Inglese) nel contesto più ampio della relazione tra l’uomo e la tecnologia. Attraverso il caso di Nadine, un robot impiegato in una casa di riposo a Londra, ci porremo insieme interrogativi etici sul futuro dell’occupazione, la sostituzione delle capacità umane da parte delle macchine e l’effetto dell’IA sulla nostra percezione della verità.
Affronteremo anche la relazione tra l’uomo e la natura, il ruolo della tecnologia come strumento di emancipazione e le sfide etiche poste dall’avanzamento dell’AI. Partiamo!
Il caso di Nadine
Nadine è stata recentemente assunta presso una casa di riposo a Londra, dove il suo compito è quello di assistere sia gli anziani autonomi e in salute, che coloro che soffrono di disturbi cognitivi. Essendo una nuova arrivata, Nadine ha superato un rigoroso processo di valutazione per verificare se le sue capacità fossero all’altezza di quelle dei colleghi. Dopo alcuni mesi trascorsi nell’assistenza ai pazienti, è stato condotto un sondaggio che ha rivelato che Nadine è stata la preferita dalla maggioranza delle persone. Le ragioni di questa preferenza risiedono nelle sue abilità di ascolto, la sua attenzione e la sua capacità di instaurare un legame empatico con l’interlocutore. La maggior parte degli assistiti ha dichiarato di non voler più cambiare Nadine con un altro suo collega. Sin qui tutto normale, tranne un aspetto su cui riflettere: Nadine è un Robot Sociale, mentre i suoi colleghi sono esseri umani!
Il rapporto Uomo – Natura
Schopenhauer, nel definire il fondamento della sua filosofia come “volontà di potenza”, vede la natura come una forza cieca, cinica, priva di coscienza e di volontà, che agisce in modo indifferente alla sofferenza degli esseri viventi. La natura vuole dunque affermare se stessa e pertanto entra in conflitto con l’antropocentrismo umano.
Ecco perché la lotta tra uomo e natura – nonché il conseguente processo di emancipazione umana dal dominio naturale – rappresenta un tratto distintivo delle nostre società che nel corso di 12.500 anni (da quando l’uomo è passato da cacciatore nomade ad agricoltore stanziale) ha iniziato ad attenuarsi solo negli ultimi due secoli.
Oggi, sopratutto grazie allo sviluppo della tecnologia, l’uomo esercita un dominio sulla natura, confermando la profezia del Vecchio Testamento: “Dominerai sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo, sugli animali domestici, su quelli selvatici e su quelli che strisciano al suolo” (Genesi 1:26-28).
Aironi – Matteo Lucca e Oscar Dominguez
Il rapporto Uomo – Tecnica
Dal momento in cui l’uomo, grazie a nuove condizioni climatiche, diventa agricoltore e stanziale ha sempre cercato di dominare la natura attraverso la tecnologia creando strumenti che gli permettessero di alleggerire il lavoro fisico. Invenzioni come l’aratro e la ruota sono chiari esempi di questo processo. Il poeta greco Esiodo (VIII sec. a.C.) nel suo poema “Le opere e i giorni” ci parla della necessità del lavoro e di come gli uomini accumulino ricchezze con la propria opera, in una relazione nella quale l’uomo rincorre la natura. Ma l’accelerazione tecnologica avvenuta dal secondo dopoguerra a oggi ha reso il confronto tra uomo e natura sempre più asimmetrico.
La tecnologia è oggi asservita alla scienza e, osservandola dall’esterno, non sembra avere uno scopo proprio se non quello di autoaffermarsi, esattamente come la natura di Schopenhauer.
Va qui fatto notare che un’analoga “volontà di potenza” associata all’AI è alla base delle maggiori preoccupazioni umane nei riguardi di questa rivoluzione tecnologica che, in uno scenario distopico come quello presentato nel film Matrix, vede le macchine assoggettare gli esseri umani.
Sarebbe del resto uno straordinario paradosso che l’uomo, liberatosi dal cappio della natura grazie alla tecnologia, proprio per mano di quest’ultima si ritrovasse ad essere nuovamente schiavo!
Intelligenza Artificiale ed etica: tre quesiti
Oggi, con lo sviluppo dell’AI siamo ad un bivio sempre più evidente, che impone la ricerca di una risposta a tre fondamentali dilemmi etici:
- Corriamo il rischio di essere sostituiti dalle macchine per via del fatto che, come visto nella storia di Nadine, siamo imperfetti, imprevedibili, umorali, dominati dalle nostre emozioni e pertanto (sebbene molto umani) meno preferibili alla prevedibilità di un algoritmo?
- Se l’AI si farà carico di tanti lavori che oggi sono appannaggio umano – con l’idea che essa potrà agire meglio, non sbagliare e costare meno – cosa succederà economicamente e socialmente alle persone che non saranno più chiamate a fare quel lavoro perché sostituite da una macchina?
- E poi quella che è forse la domanda più complessa: quale è il destino di ciò che consideriamo vero dal momento che immagini, testi, articoli, video, possono essere ricreati a piacimento dall’AI? (Vedi l’ironica copertina di Der Spiegel del 8.7.23 del titolo “La fine della verità”)
La risposta alla prima domanda tocca inevitabilmente il rapporto con i nostri simili e quindi la relazione, che di fatto è sempre uno specchio.
Posso conoscere me stesso solo tramite la relazione con un’altra persona, non una macchina.
Il monito socratico che invita a “conoscere se stessi” è quantomai attuale e la coscienza di noi è proprio quell’elemento che rende umani: le macchine non si pensano e non hanno un inconscio.
Nel cercare di rispondere alla seconda domanda dobbiamo invece stare attenti a non demonizzare l’AI. Qui l’attenzione va posta sul come si possa utilizzare gli strumenti che essa mette a disposizione senza perdere le capacità di ragionamento, di riflessione e giudizio. Di fronte ad una decisione la sensibilità umana, o coscienza morale, è sempre auspicabile rispetto al calcolo di un computer, perché non tutto è descrivibile attraverso algoritmi.
Il terzo quesito è di più difficile risposta perché richiede uno scostamento dalla tipica affezione umana nei confronti delle immagini. Basti citare il “Mito della caverna” di Platone per cogliere la dimensione di quanto le immagini possano essere ingannevoli. Una pratica che mi sento di consigliare è quella di pensare l’immagine non come trasmettitrice di una qualche verità ma come portatrice di un messaggio, e di fronte ad essa porci la domanda: “qual è il significato che questa immagine mi vuole trasmettere?”.
Conclusione
Secondo il filosofo Massimo Cacciari la tecnologia è “il destino dell’uomo” e per questo motivo è inarrestabile. Attraverso di essa Cacciari vede la possibilità della liberazione dell’uomo dalle sue più perniciose schiavitù, per perseguire il fine più alto della contemplazione della vita attraverso forme come l’arte e la poesia.
Nell’ambiente lavorativo e in quello dell’istruzione sono già molti gli strumenti che l’AI mette a disposizione per produrre qualcosa che prima avrebbe richiesto più tempo ed energia, dalle “semplici” traduzioni alla produzione di testi, dalla creazione di brani musicali, all’analisi delle radiografie sino, come visto con Nadine, al difficile compito dell’assistenza medica.
In questo quadro, che è altamente rivoluzionario, c’è chi si preoccupa della circostanza (ipotetica) che questa tecnologia possa andare fuori controllo e diventare persino ostile all’umanità. Il problema a mio avviso non sta nell’antagonismo uomo-macchina ma nella perdita da parte dell’uomo di quelle capacità che sono prettamente umane, quali l’argomentazione, il ragionamento, la creatività , l’immaginazione e l’intuizione. La loro conservazione e il loro sviluppo dovrebbero essere la nostra priorità.
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