Tra le parole di tendenza nel mondo delle aziende possiamo sicuramente annoverare diversity. Mettere l’accento sulla diversità tra le persone sembra quasi ridondante, considerando che ciascuno di noi ha un patrimonio genetico che lo rende unico e irripetibile. Eppure ce n’è bisogno perché per ogni nostra qualità o caratteristica che definisce chi siamo, c’è qualcuno che potrebbe considerare proprio quell’aspetto fastidioso. Quando ciò accade all’interno di gruppo di lavoro, può essere difficile capirsi e collaborare in modo efficace. Come possiamo dunque far diventare davvero la diversità un valore da rivendicare e da integrare nella dimensione lavorativa?
Ciò che ci unisce
In una scena del film Agorà, dove si narra la storia della filosofa e scienziata Ipazia d’Alessandria – nota alla storia per accogliere studenti di diverse culture, razze e religioni – la protagonista esorta i suoi discepoli dicendo loro “sono più le cose che ci uniscono di quelle che ci dividono”.
Se pensiamo al contesto aziendale le persone, oltre al ruolo che svolgono, si possono considerare diverse per le loro qualità fisiche, età, sesso, per il proprio background, l’istruzione ricevuta, la provenienza geografica o il contesto culturale in cui sono cresciute, fino agli aspetti più peculiari del carattere e valoriali (credo, visione, idee, …). Moltiplichiamo ora tutte queste possibili variabili per ogni componente del gruppo di lavoro e ne verrà fuori un sistema tanto variegato quanto complesso, che per funzionare in modo fluido e proficuo richiede la fervida volontà di ogni suo componente e l’individuazione di un denominatore comune. Per comporre un quadro armonico e renderlo funzionale nel contesto aziendale dobbiamo essere in grado di connettere la diversità:
ecco allora che lo scopo e la visione, insieme ai valori di cui si è portatori, possono diventare quegli elementi in grado di interconnettere e direzionare l’azione verso l’obiettivo condiviso.
È compito del leader creare le condizioni affinché il valore comune diventi il terreno nel quale incontrasi e ritrovare unità, pur nel rispetto della diversità.
Ciò che ci divide
Qualcuno potrebbe pensare di superare la complessità insita nel mettere insieme una varietà di persone, scegliendo collaboratori secondo un modello dalle caratteristiche uniformate, o comunque il più possibile simili tra loro. L’effetto collaterale di questo approccio è però l’appiattimento e la mancanza di quelle tensioni e di quei confronti che sono evolutivi per ogni organizzazione.
Come una pietanza è fatta con una pluralità di ingredienti ben amalgamati tra loro in modo che si esaltino a vicenda, così tutte le diversità devono essere rappresentate nel team perché questo possa esprimere al meglio le sue potenzialità raggiungendo gli scopi che si è prefisso. Per uno che parla serve chi ascolta, l’energia dei giovani e l’esperienza dei più anziani, l’ordine organizzato e il disordine creativo, l’apertura al nuovo e la capacità di portare avanti la tradizione, la flessibilità deve accompagnarsi con la determinazione, la capacità di analisi con la visione di sintesi.
In questo approccio i leader devono farsi garanti della diversità, consentendo a ciascun collaboratore di esprimere l’unicità di cui è portatore così da dare forma ad un’azienda realmente inclusiva.
L’altro come uno specchio
L’approccio che mette insieme le diversità esaltandole, in modo armonico, è tutt’altro che semplice. Ciascuno di noi infatti vede riflesso nell’altro il proprio mondo interiore e questo talvolta ci porta a prendere coscienza di aspetti di noi che possono essere anche fastidiosi o difficili da accettare. La realtà è infatti uno specchio e quando qualcosa ci dà fastidio all’esterno, significa che quel particolare aspetto è nascosto dentro di noi. È la legge dello Specchio che agisce secondo tre linee principali:
- Ci dà fastidio ciò che siamo ma che non accettiamo
- Ci dà fastidio ciò che vorremmo essere ma non possiamo o non riusciamo ad essere
- Ci dà fastidio ciò a cui abbiamo rinunciato o ci è stato sottratto
Per riuscire a dare valore alla diversità dell’altro dobbiamo dunque prima di tutto fare pace con quelle parti di noi che ne vengono sollecitate.
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Esercizio
Ti propongo quindi di sperimentare questo esercizio. Fai un elenco di 3 persone che ti danno fastidio, scrivi accanto a ogni nome il perché da cui origina questa sensazione, impegnandoti ad entrare il più possibile in profondità sentendo l’effetto che suscita dentro di te. Puoi iniziare ogni frase con: “<nome> mi dà fastidio perché richiama dentro di me …”
Ora rileggi le risposte che hai dato e chiediti
- “Cosa ho imparato di me?”,
- “E’ qualcosa che ha a che fare con ciò che sono o con ciò che vorrei essere?”
- “Cosa mi risulta più difficile ammettere?”.
Se vogliamo veramente portare “la persona al centro dell’impresa” e non usare la parola diversity come uno slogan superficiale, dobbiamo partire dal considerare le differenze come un elemento prezioso, scoprire cosa l’altro ci sta insegnando su di noi ricordandoci sempre ciò che ci unisce e a quale progetto siamo chiamati a contribuire insieme.
“Se ti sei visto a fondo, acquisti la capacità di vedere a fondo anche gli altri.”
OSHO RAJNEESH
| partem claram semper aspice |
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