Qualche mese fa abbiamo scritto del valore dei percorsi professionali non convenzionali: oggi vi racconto ciò che ho imparato dalla mia storia e come ho creato il mio metodo di lavoro. Nel 1995 mi sono laureata in Scienze dell’Informazione che, superficialmente, può essere scambiata con una facoltà inerente al giornalismo o ai media. Eravamo invece all’interno del dipartimento di Scienze matematiche fisiche e naturali, infatti oggi questo corso di laurea viene più chiaramente denominato Scienze e tecnologie informatiche. A scuola ho sempre amato le materie scientifiche, così quando nel 1989 venne inaugurata a Cesena questa facoltà diventò subito un’ottima opportunità per me che ero da pochissimi mesi diventata mamma. Già durante i primi anni da universitaria avevo colto alcuni segnali rivelatori di ciò che sarebbe stato il mio fantasioso percorso professionale e personale: i professori mi dicevano “lei è un informatico anomalo” probabilmente perchè ero solare in un mondo popolato da tenerissimi ma solitari “nerd” dediti alla tecnologia più che alle relazioni umane. Inoltre nella programmazione amavo occuparmi della progettazione dell’interfaccia con l’utente più che di quello che avveniva all’interno dei microprocessori. Le esperienze lavorative post laurea mi hanno poi portato a privilegiare la comunicazione interpersonale alle tecnologie dell’informazione, ma siamo sicuri che siano concetti così differenti?
Tutto serve per costruire competenze e capacità
Cercando sul vocabolario la parola “comunicazione” scopriamo che ha a che fare con la trasmissione di un messaggio e con lo scambio di informazioni. Uno tra gli esami che ho sostenuto si chiamava proprio Teoria delle informazioni attraverso il quale ho compreso che la complessità della trasmissione e ricezione di messaggi si regge su regole matematiche. Se lo scambio è complesso tra macchine immaginate quanto lo sia tra esseri umani regolati da “software” di cui spesso sono inconsapevoli e oltretutto in continua evoluzione: a volte riuscire a capirsi sembra davvero un miracolo!
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Programmare calcolatori mi ha quindi aiutato ad affrontare la complessità della comunicazione, permettendomi di identificare poche ma fondamentali regole applicabili anche a noi.
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Anche l’ostico esame di Statistica (che ho dovuto ripetere ben tre volte) mi ha permesso di fondare su precise competenze analitiche le valutazioni di marketing che poi avrei dovuto affrontare nella professione. Da qui il primo pilastro del mio metodo di lavoro (e di vita): tutto serve, ogni esperienza contribuisce a creare il nostro prezioso bagaglio di competenze e capacità, sviluppando il nostro talento.
Scomporre i problemi e definire i passi di lavoro
Capita a volte di dover risolvere problemi o affrontare attività così complesse da bloccarci. Una buona strategia che ho appreso durante i miei studi informatici è di suddividere l’obiettivo finale in sotto obiettivi più semplici e più facilmente raggiungibili. Quando ho un grosso progetto da realizzare lo divido sempre in passi piccoli e specifici, organizzati in un flusso di lavoro (flowchart per noi informatici).
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Se è possibile parto dagli argomenti più semplici: la buona riuscita mi darà l’entusiasmo per affrontare obiettivi via via più complessi.
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La scomposizione di un progetto/problema in azioni specifiche e misurabili consente inoltre di coinvolgere nell’iter di realizzazione anche altre persone, permettendo al gruppo di lavorare in modo uniforme, pianificato e focalizzato. Per i calcoli della mia tesi di laurea utilizzai il mainframe del Cineca di Bologna, un cervellone informatico composto da più processori che lavoravano in parallelo su uno stesso problema per semplificare e velocizzare la complessità di calcolo: un esempio perfetto del potere del lavoro di squadra.
Lavorare per approssimazioni successive
Sempre grazie al lavoro sulla tesi (dedicata all’Analisi numerica, una particolare branca della Matematica applicata) ho imparato il metodo delle approssimazioni successive. Utilizzo spessissimo nella mia professione attuale questo metodo di lavoro che consente di giungere alla soluzione di un problema applicando in fasi successive lo stesso procedimento reiterato. Quando realizzo qualcosa non punto quindi immediatamente al risultato perfetto: inizialmente imposto il lavoro grossolanamente, poi lo rivedo più volte fino a raggiungere una forma finale che sia il più possibile di soddisfazione per me e per chi ne dovrà usufruire. Ad esempio quando preparo una mail commerciale prima la scrivo d’istinto, poi la rileggo una prima volta per affinare concetti e struttura del discorso, l’analizzo quindi per valutare l’efficacia delle parole e la chiarezza e incisività, infine se mi soddisfa la spedisco. Questo metodo mi aiuta a mantenere sempre la visione d’insieme, affinando il risultato alla luce della prospettiva complessiva e non della singola frase. In aula, quando parlo di negoziazione, prima inquadro la vendita nelle sue fasi, poi le approfondisco singolarmente avendo cura di rimanere all’interno di una cornice chiara e definita.
Gli anni di studio sono dunque confluiti nella mia attività di formatrice e consulente, nel metodo di lavoro che utilizzo e nei contenuti che in Passodue condividiamo con aziende e professionisti. Da piccola sognavo di fare lo scienziato e di inventare cose nuove, oggi – ibridando le esperienze di lavoro e di studio e mescolando le mie capacità e competenze con quelle di altri – ho contribuito a creare un nuovo metodo di vendita basato sull’etica. Ho recuperato dunque una parte dei miei “sogni nel cassetto”, così come vi abbiamo invitato a fare nell’omonimo post.
[Dedicato al nostro amico Pietro Evangelisti compagno di studi, di progetti e di sogni.]
| partem claram semper aspice |
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beh, parafrasando una nota citazione, mi vien da dire: anche quando si ha carattere bisogna pur darsi un metodo.
Ciao, Filippo
[…] dei linguaggi di programmazione e i miei processi mentali sono stati profondamente influenzati dai diagrammi di flusso. Oggi tutte queste esperienze hanno trovato una sintesi trasformandosi in tools operativi che […]