“Per ogni cosa c’è il suo momento” oggi utilizzerò questa frase del libro del Qoelet – contenuto nella Sacra Bibbia – per parlarvi della crescita dei collaboratori. I due concetti racchiusi in questo potente monito sono flessibilità e tempo, vediamo insieme come i leader etici sanno utilizzarli.
Non è possibile e nemmeno utile trattare tutti ugualmente o peggio aspettarsi da tutti un risultato simile.
Ogni essere umano è unico e irripetibile per carattere, esperienze vissute, fase della vita in cui si trova, competenze che ha maturato e volontà che mette in ciò che fa. Oltre alle caratteristiche specifiche della persona dobbiamo anche tenere conto di come esse interagiscono con noi: alcune relazioni sono facili e lineari mentre altre ci mettono alla prova, imponendoci di fare ricorso a tanta energia e calma. Quali che siano le caratteristiche dei collaboratori, i leader etici dovranno dare a tutti in ugual misura la disponibilità, l’ascolto e la sensibilità necessari alla loro crescita, che si trasformeranno appunto in flessibilità.
Se siamo rigidi nelle nostre posizioni o pretendiamo che le persone si comportino come vorremmo, avremo già “perso in partenza” sprecando così risorse aziendali e energie personali.
L’altro fattore critico che spesso ci induce in errori è il tempo, o meglio, la fretta cioè il desiderio o la necessità di “incassare subito” l’investimento fatto sul collaboratore. Qualche anno fa in una rubrica tenuta da Paolo Coelho sul Corriere della Sera lessi una storia che mi fa ancora commuovere. Il protagonista raccontava che da piccolo aveva trovato un bruco chiuso nel suo bozzolo; tanta era la sua voglia di veder compiere la metamorfosi che iniziò a soffiare per riscaldarlo, dopo poco tempo la farfalla uscì ma le ali non avevano avuto il tempo di formarsi, se non parzialmente, così che essa morì. Quella morte pesava ancora al protagonista di questa storia, ma noi possiamo ricavarne una morale.
Alla Natura, alle persone e anche agli investimenti, servono tempo e soprattutto ritmo per maturare e donarci i loro frutti migliori. È una legge semplice e sapiente i cui effetti possiamo ampiamente osservare attorno a noi: c’è un tempo per seminare cui segue – non precede – un tempo per raccogliere.
Quello che possiamo fare come leader etici è scandire e modificare il nostro comportamento in base al livello del singolo collaboratore, misurato tenendo conto di due fattori determinanti: la competenza (che è figlia della conoscenza e dell’esperienza) e la maturità psicologica (che è un mix di impegno, coinvolgimento, responsabilità e senso di appartenenza). Accompagnare il collaboratore nella scalata dei vari livelli significa procedere per fasi scandendole in vari momenti:
- Dirigo indicando alla persona cosa fare, come farlo, in quanto tempo e verificando il lavoro eseguito.
- Guido il collaboratore non ancora completamente esperto nei compiti da svolgere, coinvolgendolo e spiegandogli le scelte fatte, mettendo alla prova la sua volontà e la voglia di impegnarsi.
- Motivo la persona incoraggiandola, dimostrandogli fiducia e dando importanza al suo contributo. Il mio collaboratore infatti è diventato esperto e non necessita più di essere controllato nello svolgere i suoi compiti bensì coinvolto nelle decisioni e lasciato operare con più autonomia.
- Delego lasciando al collaboratore piena autonomia nel portare avanti le mansioni assegnate, sapendo di poter contare sull’impegno e la volontà di qualcuno che ha fatto propri gli obiettivi aziendali.
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A chi pensa di prendere una scorciatoia saltando alcune fasi posso dire che così facendo si rischia di pagare un prezzo proprio in termini di tempo.
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Ad esempio quando assumiamo un nuovo collaboratore già formato la tentazione è quella di partire direttamente dalla fase 3. Io suggerisco invece di partire comunque dalla fase 1, verificando così maturità e competenze del nuovo assunto e facendo si che egli abbia il tempo di adattarsi all’organizzazione. Diversamente il rischio è di disorientare lui e deludere noi stessi, rimproverandoci per l’ennesima assunzione sbagliata. Ogni singola fase può essere anche superata velocemente (in pochi giorni o settimane) ma averla comunque affrontata ci aiuta a impartire il giusto ritmo alla crescita dando valore all’investimento effettuato.
Un altro errore frequente è passare immediatamente dalla fase 2 alla 4. Capita quando vediamo un collaboratore impegnarsi e iniziare a sviluppare una certa autonomia, ottenendo buoni risultati (fase 2). Alcuni “capi”, smaniosi di scaricarsi di un po’ d’impegni, decidono allora di promuoverlo sul campo delegandogli responsabilità e decisioni che fino a ieri non aveva mai dovuto gestire (fase 4): in questo caso la persona non si sentirà gratificata ma piuttosto abbandonata! Il passaggio intermedio serve infatti a dare sostegno e sviluppare l’autonomia richiesta per ricevere la delega.
La flessibilità dei leader etici è proprio quella di capire come mixare controllo e autonomia, supporto relazionale e indipendenza.
Quando invece applichiamo con tutti un comportamento prevalente, riconducibile a solo una delle quattro fasi, rischiamo di non fare crescere i nostri collaborati e di investire male tempo e denaro. Secondo la nostra esperienza i responsabili che hanno una formazione molto tecnica (magari provengono dal mondo della produzione o della progettazione) sono spesso convinti di “sapere solo loro come devono essere fatte le cose” e continuano ad esercitare controllo anche sui collaboratori esperti. D’altronde esistono anche i leader “scarica barile” che non vedono l’ora di delegare a chiunque senza valutarne competenze e maturità o i capi “genitori” che dedicano tutto il loro tempo al supporto psicologico delle persone senza permettergli mai di crescere.
Flessibilità e ritmo consentono la crescita armonica e produttiva a vantaggio di tutti.
| partem claram semper aspice |
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Condivido le cose dette. Il problema maggiore è come far convergere tutti questi elementi con una stanchezza terribile e le scadenze. Io ti devo guidare, ti devo accompagnare, ma ci deve essere un codice di base per tutti e soprattutto deve essere vero che siamo esperti. Chi ha la presunzione di esserlo crea grossi squilibri. Inoltre, dopo un po’ il collaboratore deve capire che si deve avvicinare il più possibile a dei ritmi (riusciremo mai a farlo senza essere distrutti?). Il suo obiettivo è di ricercare in sé stesso una volontà di precisione e farne un suo cavallo di battaglia.
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