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di Luca Giorgetti

Parlano tramite meme, storcono il naso di fronte alle cringiate e osservano con attenzione ciò che triggera. I Gen Z, ovvero coloro che sono nati tra il 1995 ed il 2010, hanno un loro linguaggio che sottintende una visione diversa del mondo, quasi capovolta, rispetto alle generazioni precedenti.

Certamente i Boomer, nati tra il 1945 ed il 1965, ma talvolta anche i Gen X e Millennial appartenenti rispettivamente agli anni 1965-1980 e 1980-1995, stentano a entrare in relazione con le peculiarità di questa nuova generazione che avanza e che, con le sue modalità relazionali e la sua peculiare visione del lavoro, sta dando grattacapi a molte aziende che hanno necessità di integrarla ma fanno fatica a comprenderla e tantomeno motivarla.

Proviamo allora, per una volta, a vedere le cose dal loro punto di vista immaginando di seguire l’avventura di un lavoratore Gen Z all’interno di un’azienda.

In principio era il colloquio

Storicamente i colloqui sono stati basati sulla ricerca di una risposta ad una grande domanda “Perché io, datore di lavoro, dovrei assumerti?” cui, stando a questo paradigma, il candidato avrebbe dovuto fornire risposte convincenti, raccontando delle sue capacità, eventuali esperienze pregresse, immaginando il suo futuro fra 5 anni e così via. Avrebbe poi dovuto fare attenzione a non sembrare avido chiedendo con troppo anticipo “Qual è lo stipendio?” o peggio passare per svogliato domandando “Come vengono gestite le ferie?”. 

Tutto questo faceva parte di una formalità che non era scritta da nessuna parte, ma che la maggior parte dei candidati e dei selezionatori, condivideva e accettava.

Con l’avvento dei Gen Z non è più possibile procedere in questo modo. Il candidato Gen Z desidera che il colloquio sia condotto in due fasi.

La prima prevede una presentazione dell’azienda da parte dell’intervistatore, in cui questi descriverà le aspettative rispetto al ruolo facendo qualche domanda di rito al candidato. È tutto ciò che resta della formalità dei vecchi colloqui e deve essere una fase molto breve.

La seconda fase prevede infatti un completo capovolgimento dei ruoli: vede il candidato prendere parola e fare domande, enunciando questa volta le sue di aspettative. L’intervistatore dovrà dunque essere in grado di rispondere ad una nuova grande domanda sempre sottointesa, ma di tenore opposto rispetto a quella precedente, “Perché dovrei lavorare per te?” o meglio “Perché dovrei lavorare con te?”.


Già, perché oggi i giovani Gen Z non giurano fedeltà ad una ditta, non sono guidati dallo spirito di appartenenza o sacrificio, ma i loro obiettivi sono legati allo sviluppo personale, all’acquisizione di nuove competenze ed alla possibilità di autogestirsi in un team stimolante e dinamico che magari strizzi anche l’occhio alla sostenibilità e al benessere


Pensare di dover restare nella medesima realtà lavorativa, specie se percepita come gerontocratica e statica, li soffoca. 

Wow, sembra davvero difficile selezionare e fidelizzare un lavoratore Gen Z!

C’è anche da chiedersi che senso abbia assumere qualcuno che richiede tanto impegno e formazione e che potrebbe comunque andarsene visto che ha una visione fluida del mercato del lavoro? Proviamo a comprenderlo nei prossimi paragrafi.

gen z e lavoro
Foto di Campaign Creators su Unsplash

C’era una volta la gerarchia 

Perché dovrei lavorare delle ore in più, magari sottopagato, perché lui (il titolare, il manager,…) possa intascare un bonus?
Perché dovrei prendere ordini da lei che nemmeno è capace di usare un software?

Ecco alcuni ulteriori affondi. 

Lo so, non sono piacevoli e ci potrebbero far percepire i Gen Z come arroganti e presuntuosi. Ma questo solo perché ancora non abbiamo colto alcune delle loro più interessanti qualità.

Mettiamo il caso di essere coloro che hanno condotto la selezione e che il giovane candidato abbia passato il colloquio (o meglio dire noi abbiamo passato il suo). Cosa succederà una volta inserito in azienda?

Il primo elemento che egli valuterà sarà il clima aziendale. Qual è la qualità delle relazioni che si respira tra colleghi? Gli obiettivi sono condivisi e condivisibili? Si percepisce inclusività o si vive dentro un’atmosfera machista di stampo dittatoriale?


Libertà di parola e pensiero, ruoli che vengono attribuiti sulla base di reali competenze e capacità piuttosto che anzianità e giochi di potere, scambio di opinioni ritmato, leadership informale sono presupposti fondamentali perché un Gen Z possa apprezzare il luogo di lavoro.


Diversamente lo vedrete spegnersi perché i suoi principali valori vengono asfissiati. La nuova generazione infatti non ha intenzione di fare la fine delle precedenti, che lasciavano il cuore a casa prima di andare in ufficio. Quali sono dunque questi valori da alimentare?

Il contributo dei Gen Z al mondo del lavoro

I principali valori dei Gen Z sono: inclusività, collaborazione, crescita personale, autenticità, equilibrio tra vita lavorativa e vita personale. Ma anche sostenibilità, creatività e flessibilità, nonché empatia e benessere. Alcune di queste parole sono quasi incomprensibili per la “vecchia guardia”, abituata a concetti come sacrificio, dovere, disciplina, fatica, sfida, sicurezza, integrità, affidabilità e impegno.

Eppure, se ci pensiamo, quali sono i temi più caldi per le aziende di oggi? Basta dare un’occhiata ad un articolo dell’Harvard Business Publishing per realizzare che le prime fondamentali capacità di un manager devono essere l’adattabilità digitale, la comunicazione empatica, l’intelligenza emotiva e sociale, fino ad arrivare alla abilità di esercitare leadership senza ostentare il ruolo.

Vi ricordano qualcosa? 

Il mondo del lavoro sta cambiando e sta colorandosi sempre di più dei valori delle nuove generazioni che avanzano. È un bene o un male? Al di là della questione morale, si tratta di osservare semplicemente la realtà e adattarsi ad essa.

In Italia ad esempio, un paese sempre alla ricerca di soluzioni per aumentare la produttività, è ancora efficace ragionare secondo calendari e orari, o può essere utile focalizzarsi maggiormente sugli obiettivi? Le 8 ore lavorative a fronte di uno stipendio fisso a fine mese sono ancora un’offerta allettante o, al contrario, diventano un ostacolo alla desiderata flessibilità e fluidità? 

Stare al passo con i tempi o farsi sorpassare 

Come adattare dunque l’azienda ai tempi che corrono? Come far coesistere le diverse generazioni tra loro? Domande importanti ma c’è una buona notizia: non dobbiamo trovare queste difficili risposte da soli.


I Gen Z non vedono l’ora di poter dire la loro e, perché no, di accollarsi la sfida dell’integrazione intergenerazionale.


Il nostro consiglio è quello di ascoltarli davvero. Benché sia facile fermarsi al pregiudizio che sorge di fronte a chi, da giovane e neo-assunto, sembra già voler dettare nuove regole, sono proprio giovinezza e novità le qualità cui attingere per proiettare noi e la nostra organizzazione nel futuro. I sogni, gli obiettivi e le ambizioni di chi ci sta davanti dovrebbero stimolarci, al contrario della stagnante immobilità che spesso caratterizza certi ambienti di lavoro. Le possibilità evolutive le abbiamo proprio di fronte a noi, anche se si presentano in una veste che non ci aspettavamo. Ma che gusto avrebbe la vita se tutto fosse prevedibile?

| partem claram semper aspice |

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Passodue, studio di consulenza e formazione, nasce nel 2012 dalla volontà di Alice Alessandri e Alberto Aleo di unire le loro esperienze per dare una svolta alla vita personale e professionale. Il progetto è basato sull’idea di cambiare la forma mentis del mercato rispetto ai concetti di “vendita”, “marketing” e “leadership” dimostrando che fare business eticamente si può e può essere assolutamente efficace.

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