“Non bisogna mai dire di sì, ricordalo, mai, sempre di no. Perché con un no ti spicci e con un sì t’impicci”. L’umorismo di Ugo Tognazzi coglie in pieno una delle più grandi difficoltà che abbiamo, quella di dire no. Che cos’è un no se non un monosillabo, una parola pronunciata con una rapida emissione di fiato? Eppure è così complicata! Proviamo a conoscerla meglio…
Le controindicazioni del “si”
Prima di individuare il percorso da seguire per imparare l’arte di saper dire di no, ci soffermiamo un istante a riflettere sulle conseguenze dei troppi sì: sì al collaboratore che ci chiede un cambio turno, sì al responsabile che ci sovraccarica con l’ennesimo impegno, sì al cliente che ci chiede un incontro in un momento per noi impossibile.
Domandati: cosa provi dopo aver accettato anche quando avresti voluto, potuto o dovuto rifiutare? All’inizio forse soddisfazione e orgoglio. Poi piano piano inizia a insinuarsi la frustrazione e l’ansia, incominci ad avvertire il peso delle troppe richieste, la pagina dell’agenda non ti basta più, perdi di vista gli obiettivi, fatichi a gestire il tempo. E, dulcis in fundo, si fa largo il rancore che rischia di esplodere con le persone sbagliate, nel momento sbagliato! A mente fredda ti sembrerà un’apocalisse improbabile ma quante volte in aula me la sono sentita raccontare esattamente con queste parole.
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Dire sì nonostante tutto, non è quindi salutare, non lo è per noi, non lo è per l’altro, alle cui richieste spesso rispondiamo in ritardo o in modo approssimativo e non lo è neppure per la relazione.
Praticare l’arte di saper dire di no consente di stabilire confini, responsabilizzando le parti, valorizzando i nostri sì e il nostro impegno e riducendo le pretese dell’altro.
Vediamo allora quali sono i tre passaggi su cui allenarci per imparare a dire no in modo efficace e rispettoso per sé e per l’altro.
1. Indagare le ragioni del SI e del NO
Per prima cosa chiediti come mai fatichi a dire no. Concediti qualche minuto, prendi carta e penna e scrivi di getto tutti i motivi. Nell’elenco troverai ragioni emotive e ragioni obiettive. Fra le prime domineranno le paure: paura che l’altro ci allontani, paura di perdere qualcosa, paura di risultare antipatici o poco disponibili ecc.
Rifletti su ognuna di queste paure, quale probabilità concreta ha di realizzarsi? Bassissima, in molti casi nulla. La paura è una delle emozioni più forti, utilissima in molti casi, dannosissima, se non controllata, in altri. Il modo migliore per gestire le paure è quello di fermarsi a guardarle in faccia. In questo sguardo lucido scoprirai tra l’altro che sotto sotto c’è un desiderio, compiacere l’altro, sempre e comunque. La psicologia la chiama “sindrome del bravo ragazzo”.
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Recuperando quindi razionalità, ti sarà più facile giudicare come bizzarra e a volte assurda la stragrande maggioranza di queste paure e ti sarà più semplice, la volta successiva, non cadere nella loro trappola.
Quanto alle ragioni obiettive, il gioco è quello dei costi/benefici.
Quando dici sì a qualcuno, ricorda che stai contemporaneamente dicendo no a te stesso, a qualcun altro o a qualcos’altro: al tuo tempo libero, a un altro cliente, a un altro impegno.
Crea quindi una tabella a due colonne, nella prima metti i costi e nella seconda i benefici del no e valuta di volta in volta. Se, a questo punto, deciderai di dire sì, lo farai in modo consapevole, evitando tutta la successiva apocalisse. Non si tratta di un passaggio semplice, né breve; per questo all’inizio è importante prendersi un po’ di tempo e usare la scrittura. Una volta acquisita una certa dimestichezza con il meccanismo e una migliore consapevolezza di te, potrai allora liberarti di carta e penna.
2. Comunicare efficacemente i nostri NO
Il secondo step riguarda il modo con cui esprimere il no, determinante per preservare la relazione con l’altro.
Un no consapevole, espresso in modo inadeguato, infatti, può essere altrettanto, se non più dannoso, di un sì nonostante tutto.
Come fare? Curando per prima cosa la comunicazione non verbale: postura, gestualità e mimica facciale. È importante che il corpo comunichi all’altro consapevolezza e apertura: postura eretta, quindi, gestualità morbida e volto rilassato; un linguaggio del corpo passivo o aggressivo manda il messaggio sbagliato. Altrettanto importante la voce: sicura ed emessa con un volume adeguato. La credibilità del messaggio passa per il 93% attraverso la comunicazione non verbale.
Fornisci qualche spiegazione. Non giustificazioni ma motivazioni. Giustificarsi, usando di continuo la parola “scusa”, sminuisce il no e darà all’interlocutore il destro per pensare magari che il rifiuto sia davvero frutto di pigrizia o indisponibilità. Sii sintetico, le spiegazioni che vanno per le lunghe tendono ad essere percepite come scuse.
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3. Progettare le alternative
Terzo e ultimo passaggio: dare alternative. È sempre necessario? No, non sempre lo è, occorre valutare di volta in volta. Sul lavoro può essere un buon modo per bilanciare efficacemente esigenze professionali, organizzative e personali, specie nelle relazioni con i responsabili, collaboratori e clienti.
Il no, accompagnato da un’alternativa, non chiude il dialogo e trasmette all’interlocutore tutto il tuo impegno, permettendoti di giocare d’anticipo.
Il rischio del rifiuto senza alternativa, infatti, è che l’interlocutore, spesso in modo inconsapevole, impieghi il meccanismo chiamato “ripiegamento dopo il rifiuto”. In risposta al tuo no, l’interlocutore “aggiusta” la sua richiesta, diminuendola, ed ecco che ti trovi incastrato, in seria difficoltà, nel rifiutare, per la seconda volta consecutiva, una richiesta inferiore. Gioca d’anticipo quindi e sii tu a proporre una o più alternative, lasciando poi all’altro l’eventuale scelta.
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Dire no, in modo consapevole, migliora la tua autostima, la tua efficacia e le relazioni con l’altro, ti permette di gestire meglio il tempo e il bilanciamento fra vita privata e professionale, riducendo lo stress.
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Se non vuoi continuare a rimanere “impicciato”, quindi, inizia ad allenarti, i risultati arriveranno.
| partem claram semper aspice |
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