di Alice Alessandri e Alberto Aleo
Una legge non scritta del business dice che, per ottenere successo commerciale, aziende e professionisti dovrebbero dare al cliente quello che si aspetta. Secondo questo modo di pensare basterebbe quindi studiare il mercato per sapere cosa offrire. Ma è davvero così? Henry Ford, fondatore dell’omonima casa automobilistica e pioniere dell’auto, sosteneva il contrario dicendo “se avessi chiesto ai miei clienti cosa si aspettavano di più efficiente di un cavallo per i loro spostamenti quotidiani, mi avrebbero detto un cavallo più veloce e mai un’auto!”. In effetti la storia di molti prodotti di successo è iniziata da un’idea imprenditoriale geniale e non dalle analisi di mercato. Dobbiamo quindi ascoltare il nostro cuore o cercare all’esterno le risposte che ci servono? Proviamo a ragionare insieme…
La felicità come strumento e non come risultato
Il Prof. Shawn Achor, autore del testo “Il Vantaggio della Felicità” sostiene che il rapporto
successo => felicità
è da invertire: le persone ottengono successo se sono felici, non viceversa. E cosa può farci più felici che svolgere un’attività che ci piace o creare qualcosa che ci corrisponde? Steve Jobs, fondatore della Apple, era per primo innamorato dei prodotti della sua azienda. Questo gli dava la forza di lavorare instancabilmente alla loro creazione e al loro perfezionamento, difendendoli anche quando gli “esperti di mercato” volevano dimostrargli – numeri alla mano – che certe idee erano troppo azzardate. Pensando alla nostra quotidianità è facile comprendere come sia necessaria tutta l’energia della passione per ottenere i risultati a cui aspiriamo e, ricordiamocelo, passione e felicità sono sorelle.
La tecnica analitica non basta ad assicurare il successo e senza il supporto della motivazione anche il progetto strategicamente più corretto non andrà a segno.
Connessioni alchemiche
Dobbiamo quindi ignorare le richieste dei clienti e concentrarci unicamente sui nostri sogni imprenditoriali? Una cosa non esclude l’altra. Non c’è dubbio che il consumatore debba sentirsi attratto e soddisfatto dalla nostra offerta per comprare e continuare a farlo, ma come riuscire a centrare i suoi desideri se, come diceva Ford, chiedere “cosa ti serve” può risultare inutile? Il rapporto tra consumatori fedeli e aziende è in effetti regolato da una vera e propria “legge d’attrazione” che esercita il suo potere a livello più profondo delle semplici richieste, là dove risiedono le motivazioni ovvero gli obiettivi valoriali che ci si pone nell’acquisto. Le motivazioni sono il corrispettivo, dal lato del cliente, della Mission aziendale. Essa descrive infatti gli obiettivi profondi di un’organizzazione, ci dice perché e a quale scopo è stata creata. L’alchimia, che fa scattare l’interesse e la soddisfazione del cliente, si crea proprio a questo livello: il perché acquistiamo e il perché produciamo devono completarsi e supportarsi a vicenda.
Quello che ci interessa sapere dal cliente e dal mercato quindi non è cosa produrre ma perché farlo, una domanda che bisogna rivolgere prima di tutto a se stessi.
Le ragioni di un’impresa
Lo chef Grant Achatz è famoso per cambiare molto spesso il menù del suo ristorante eliminando anche preparazioni che riscuotono grande successo. Una pratica apparentemente errata dal punto di vista del marketing perché non aiuta la fidelizzazione del cliente che si sentirà disorientato non ritrovando più i suoi piatti preferiti. Se non per ragioni di mercato allora perché farlo? La risposta è di una semplicità disarmante “perché mi diverte e ho voglia di sperimentare!”. Ed infatti i clienti scelgono il suo ristorante esattamente per l’aria sorprendente e creativa che si respira.
Interrogarsi sulla motivazione che ci spinge ad agire è il primo passo per costruire un business.
Per trovare il proprio “perché” potrebbe essere utile riflettere sulla propria Mission, magari rileggendo il post che abbiamo dedicato a questo argomento. Sarà necessario ascoltare le proprie emozioni, lavorare su se stessi per costruire un’identità che non imiti nessun altro, non nascondere le “diversità” anche se queste, inizialmente, possono sembrare difetti ma trasformarle in elementi distintivi.
Il titolo di questo articolo è ispirato ad una famosa novella di Pirandello, che si interroga sulla ricerca della verità. Così come suggerisce il grande scrittore, anche professionisti e imprenditori dovrebbero accettare che ogni essere umano è portatore di un singolo, parziale, punto di vista. In questa “incapacità” di leggere totalmente la realtà (e quindi anche i mercati) si nasconde la nostra umanità, quella qualità ultima che ci accomuna tutti e ci attrae gli uni verso gli altri. Le nuove aziende di successo saranno sempre più incentrate su questa “imperfetta umanissima unicità”. I loro prodotti esprimeranno un punto di vista e una visione unici e forse perfettibili, ma proprio per questo veri.
I leader in grado di guidare al successo le proprie organizzazioni non dovranno pretendere di avere tutte le risposte ma solo quelle che la loro esperienza, le loro emozioni e le loro capacità gli suggeriranno.
Fare business non significa infatti sfruttare ogni opportunità ma solo quelle che ci corrispondono e che ci permetteranno di trovare una risposta valida ai nostri “Perché” e a quelli del cliente.
| partem claram semper aspice |
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Ottimo articolo!
Grazie Matteo!
non ho ben capito… ma l’artico intero, dove lo trovo?
Ciao Domenico, non abbiamo capito se non riesci a visualizzare parti dell’articolo o vuoi solo maggiori approfondimenti. Nel secondo caso puoi cliccare sui link che trovi nel testo o contattarci direttamente. Grazie.