di Alice Alessandri e Alberto Aleo
Da un po’ di tempo le pubblicità, le mission aziendali ed in generale le strategie di marketing e comunicazione si sono fatte più “buoniste” e attente a promulgare un messaggio “etico”. Come dimostrano gli esempi di Heineken, Adidas e di Momondo l’etica e la morale sono diventate di “moda” perché aiutano ad ottenere visibilità. È una buona notizia? Per alcuni “fondamentalisti” no. Sia i puristi dei valori, i quali scorgono in questa tendenza una banalizzazione e corruzione dei principi etici, sia gli avidi amanti del profitto, che invece guardano a tutto ciò come ad una “distrazione” dal vero obiettivo dell’impresa, hanno espresso il loro malcontento. Ecco quindi la nostra opinione sulla tendenza, sempre più diffusa, di aggiungere il suffisso “etico” al business.
Preoccupazioni infondate
Prima di tutto vogliamo rassicurare gli estremisti: etica e profitto non sono in contrasto! Promuovere la prima non significa sacrificare l’altro e viceversa.
Pensare al business come un gioco a somma zero è un pregiudizio di chi non conosce fino in fondo il funzionamento e lo scopo dei mercati.
Ricerche come quelle condotte dal prof. Raj Sisodia dimostrano che le aziende oggi ottengono i migliori risultati adottando business model basati su principi etici. Non si occupano cioè soltanto di far profitto ma cercano di costruire valore per tutti gli attori coinvolti: clienti, dipendenti, fornitori… Alcuni esempi? Whole Food, New Balance, UPS, Distillerie Branca. Lo abbiamo detto anche in passato: l’economia è una scienza sociale e il suo obiettivo è la generazione di benessere a tutti i livelli. Solo perseguendo integralmente gli scopi “economici” quindi un’organizzazione riuscirà ad avere un ritorno pieno, anche in termini di profitto.
Male o bene purché se ne parli
Se parlare di etica non fa male al profitto, anzi ne favorisce la generazione, l’adozione generalizzata di modelli di business etico non rischia di appiattire le differenze tra aziende virtuose e semplici modaioli? Il pericolo ovviamente esiste ma, come ci ha confermato anche Nicolò Branca “meglio essere etici per moda che non esserlo per niente”. Esaurita la spinta della novità i consumatori svilupperanno la capacità di comprendere davvero chi è etico ed anche le aziende che hanno adottato questo “stile” solo per infiocchettare meglio la loro offerta, presto o tardi saranno chiamate ad una “prova di coerenza”.
Noi di Passodue, con orgoglio, possiamo dire di essere stati tra i primi in Italia a sollecitare l’attenzione verso questi temi e per tanto tempo quasi gli unici a offrire corsi di vendita etica (in questi giorni oltretutto è uscita la seconda edizione del nostro libro “La Vendita Etica” arricchita di nuovi casi studio e strumenti). Adesso molti colleghi e concorrenti hanno iniziato ad occuparsene; ne siamo felici perché questo interesse allargherà il mercato, dando la possibilità ai clienti di avere accesso a più informazioni così da saper distinguere un’offerta formativa coerente.
Dallo storytelling allo storymaking
Come si fa quindi a riconoscere i business davvero etici? La parola etica deriva dal greco ethos che significa comportamento.
L’etica si occupa di azioni, non di intenzioni e non si può essere etici sulla carta!
Per misurare l’eticità di un’azienda dovrete guardare ai suoi comportamenti non ai suoi spot promozionali. I comportamenti più significativi sono quelli che si agiscono “alla base” della catena del valore e cioè alla scala umana, nel modo di trattare le persone, che siano esse dipendenti, clienti o fornitori. La vostra azienda ha fondato un ospedale in Mozambico ma pagate le fatture in ritardo? Non siete etici! Dichiarate di volervi prendere cura dei vostri clienti ma poi li assillate di telemarketing la domenica mattina? Ci spiace ma anche voi appartenete alla categoria dei “narratori di storie” non coerenti.
Molte aziende sono abilissime ad usare quello che oggi si definisce “storytelling”, infarcendo piani di marketing e di comunicazione di buonismo ed emozioni, ma poi si dimenticano che le persone quella storia affascinante vorranno anche viverla e basta un dettaglio fuori posto per “smascherare” l’incoerenza. Più che di belle storie c’è bisogno di buoni comportamenti da costruire ogni giorno nella relazione con gli altri, per questo è più utile parlare di “storymaking”.
Consigli di coerenza
Ecco allora qualche consiglio pratico per migliorare il vostro business e verificare se, a prescindere dalle dichiarazioni d’intenti, quello che fate è davvero nel segno dell’etica.
- Come si parla di voi e quanto è grande il vostro network? Se litigate spesso e volentieri, se vedete diminuire il vostro portafoglio clienti, se la soddisfazione di dipendenti, fornitori e clienti è in calo, allora vuol dire che qualcosa non funziona nel vostro modo di relazionarvi. Non cercate alibi, provate a ridefinire invece il vostro agire
- Come trattate le persone? Se nel vostro business esistono prima i ruoli e poi le persone e se pretendete dagli altri prima di dare, ancora una volta non potete dire di essere etici. Ricordatevi che l’economia è retta dalla legge di reciprocità: prima investi e poi ricavi, prima dai e poi ricevi, non il contrario
- Che cambiamenti avete introdotto da quando avete dichiarato di essere etici? L’etica va allenata sviluppando precise competenze e capacità. Per praticarla non basta dichiararlo: se nulla è cambiato nei processi e nelle relazioni da quando avete inserito la parola etica nelle vostre dichiarazioni pubbliche, vuol dire che si tratta solo di un lifting posticcio
- Che valori vi guidano e che obiettivi avete dato alla vostra organizzazione? Nella vostra mission può esserci scritto che volete salvare il mondo, ma se il vostro direttore commerciale ha come input “fatturare ad ogni costo” sarà difficile che possiate essere coerenti. Fate un esame di coscienza serio e chiedete alle persone che lavorano con voi quali sono gli obiettivi che realmente perseguono: potreste avere delle sorprese imbarazzanti
Una volta che il vostro business sarà diventato davvero etico non avrete più tanto bisogno di promuoverne l’eticità. Sembra un controsenso, ma le statistiche ci dicono che le aziende virtuose spendono molto meno in pubblicità e comunicazione di chi ha bisogno di sostenere in modo artificiale la propria reputazione. La loro visibilità è basata sulla lealtà dei clienti e sul passaparola positivo: strumenti ben più potenti per far crescere il vostro mercato.
| partem claram semper aspice |
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