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di Alice Alessandri e Alberto Aleo

Da quando siamo rientrati in Italia molti ci chiedono in cosa maggiormente differiscano la nostra società e quella americana. Ciò che a noi è saltato subito all’occhio è qualcosa di inaspettato, soprattutto per un popolo come quello italiano da sempre accoppiato all’idea di qualità della vita e allegria: abbiamo perso l’ottimismo! Cerchiamo di capire insieme com’è potuto accadere.

Terrorismo mediatico

Aprendo il giornale leggi solo cattive notizie, entrando nella maggior parte dei negozi sei circondato da commessi musoni, visitando Facebook ti ritrovi sommerso di avvisi allarmistici e lamentele generalizzate. Pochi sorrisi per strada, pochissimo entusiasmo e, soprattutto, meno voglia di provare a darsi da fare. Eppure il nostro non è un paese da buttare, la vita che si svolge nelle nostre città è ancora di un tenore elevato, siamo attorniati da meraviglie artistiche e naturali che il mondo ci invidia, ma perché nessuno ne parla?

Perché concentriamo i nostri sforzi e focalizziamo la nostra intelligenza nel trovare e analizzare ciò che non funziona piuttosto che valorizzare quello che abbiamo?

terrorismo mediatico

Gli psicologi direbbero che è tipico dei depressi non notare ciò che di bello e di buono succede nella vita: d’altronde se ho la schiena curva e gli occhi abbassati come potrò mai accorgermi del cielo azzurro e del sole splendente? Il fatto che molti non diano peso a ciò che di positivo è attorno a loro non vuol dire però che quel che c’è di buono in Italia smetta di esistere. In effetti essere ottimisti comporta una grande responsabilità, come quella che deriva per esempio dal riconoscersi dei talenti piuttosto che lamentarsi dei propri difetti.

Prendersi la responsabilità

Alcuni sostengono che un pessimista sia solo un “ottimista ben informato”. Come spiegato anche nell’articolo “Io penso positivo” la nostra visione è diversa e crediamo che l’equivalenza pessimismo = realismo vada spezzata.

Un pessimista è spesso qualcuno che ha deciso di non prendersi la responsabilità della sua vita e del suo ruolo sociale, trincerandosi dietro un comodo “tanto non possiamo farci niente”.

Ma come ha fatto un popolo creativo, curioso e divertente come gli italiani ad incappare in un fenomeno di depressione di massa? Crediamo che dietro tutto questo ci sia la vecchia strategia che usa la paura per controllare le persone: “siamo in crisi, accontentati”, “stai attento, gioca in difesa”, “diffida da chi ottiene risultati, probabilmente è un ladro”.

Il pessimismo è una strategia di controllo, l’ottimismo invece è una strategia di successo perché permette di notare ciò che funziona assumendosi la responsabilità di provare a cambiare.

L’ottimismo come strategia

Se è vero, come dice il filosofo H. Bergson che “l’occhio vede ciò che la mente è preparata a comprendere” allora il nostro Bel Pase ha bisogno di ottimisti in grado di valorizzare al meglio il buono che ancora c’è.

ottimismo

Forse è per questo che molti nostri concittadini quando si allontanando dall’Italia e si confrontano con società orientate all’ottimismo riscoprono le energie e i talenti che da sempre ci contraddistinguono e ci permettono di fare la differenza traducendosi in nuove opportunità. D’altronde un popolo che, dagli antichi Romani in avanti, geograficamente e culturalmente ha saputo conquistare il mondo, non può certo pensare di chiudersi in sé per superare la crisi che lo attanaglia; come la storia ci ha abbondantemente dimostrato gli italiani esprimono il meglio di sé quando si confrontano con gli altri, esplorando e viaggiando, per superare i propri limiti e ritrovare slancio.

Si dovrebbe guardare quindi alla “fuga di cervelli” non come una minaccia ma come un’opportunità, per farlo sarà però necessario estendere i confini della nostra idea dell’essere italiani oltre i limiti dello stivale, convincendoci che l’italianità non è legata ad un luogo geografico ma ad una cultura, un sistema di valori e un modo di concepire la vita di cui l’ottimismo è parte integrante.

Se esiste un confine dentro il quale tenere imbrigliati i nostri cervelli è proprio questo: essere ottimisti e consci dei propri valori e talenti con tutte le responsabilità che questo comporta.

PS: Come avrete notato da qualche tempo abbiamo scelto di pubblicare i nostri post il lunedì. Il primo giorno della settimana, quello in cui si rientra al lavoro, la posta elettronica è traboccante di e-mail e l’agenda affollata di impegni, è quindi più difficile trovare il tempo per leggere: la nostra decisione consapevole, nonostante le statistiche avverse, nasce però dalla volontà di aiutare ad affrontare la settimana con una visione più positiva; è il nostro contributo alla difesa dell’ottimismo!

| partem claram semper aspice |

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Un percorso accademico non convenzionale insieme ad una carriera manageriale che è durata più di un decennio nel ruolo di responsabile marketing e di direttore vendite per note aziende italiane, mi hanno trasformato in un “architetto” di strategie di mercato. Nel 2011 ho fondato insieme a mia moglie Alice lo studio di consulenza e formazione Passodue il che mi ha permesso di poter mettere a disposizione dei clienti un bagaglio di esperienze e conoscenze molto vario, che spazia dall’economia, al marketing, alla gestione di reti commerciali.

Questo articolo ha 2 commenti

  1. E’ quello che ci vuole! Se tutti lavorassimo con questo spirito le cose andrebbero sicuramente meglio! E alla domanda: “come stai?” Bisogna sempre rispondere: “Sto benissimo!”
    Sicuramente ci sarà qualcosa di storto o da mettere a posto, ma l’ottimismo e il credere in qualcosa dà la forza per poter dire “Sto benissimo!” .

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