Di Alberto Aleo
Il mio amico Daniele Prioli (co-fondatore di Geocom), che uno venditore etico tra i più bravi ed intelligenti che abbiamo mai incontrato, ripete da sempre questa frase:
un buon commerciale lascia al cliente sempre qualcosa in più rispetto a quello che guadagna.
Io mi sono sempre limitato ad approvare senza capire, convinto nel profondo che questa affermazione fosse corretta, ma incapace di dimostrarne l’esattezza alla luce dei miei studi di economia. Però il mio cervello funziona in modo strano e non mi lascia in pace finche le cose, oltre che con la “pancia”, non le ho anche capite con la testa. Così è da molto che mi tormento per cercare una dimostrazione. Di solito mi sembra di trovarne una valida sempre un attimo prima di addormentarmi, ma poi cedendo al sonno tutto cade nell’oblio. Beh questa volta avevo puntato la sveglia interiore, per cui ecco il frutto delle mie elucubrazioni notturne…
La vendita come scambio di valore intangibile
Maslow, attraverso l’uso della sua famosa piramide dei bisogni, ci ha insegnato che la soddisfazione dei clienti è scalata su 5 categorie ovvero i bisogni fisiologici, la sicurezza, il senso di appartenenza, la stima e l’autorealizzazione. Ciò in pratica significa che i nostri clienti cercano, all’interno dello scambio, il soddisfacimento non soltanto di esigenze materiali (come potrebbero essere i bisogni fisiologici e di sicurezza) ma di qualcosa di più profondo ed intangibile.
Il problema è che difficilmente qualcosa di intangibile riesce a essere regolato dal meccanismo del prezzo.
Succede allora che per perseguire la massima soddisfazione del cliente, offrendogli anche questo valore intangibile, un bravo venditore si trovi in svantaggio e l’equivalenza tra quanto dà e quanto riceve si spezzi e secondo la tradizionale teoria economica di Adams Smith, centrata sulla massimizzazione del risultato individuale, ciò non sarebbe coerente.
“Smith aveva torto”
Con questa frase potremmo riassumere il senso degli studi del premio Nobel John Nash: per capirne il significato e la portata scientifica dobbiamo però fare qualche passo indietro. Sappiamo che l’idea della massimizzazione del profitto e del perseguimento dell’interesse individuale ha informato per anni la teoria economica, diventando fondamento del sistema capitalistico. Ad un certo punto però sulla scena dell’elaborazione teorica dei principi economici è arrivato Nash, che con il suo lavoro ha aperto la strada allo sviluppo della teoria dei giochi ad esito cooperativo, riuscendo a dimostrare che in molte situazioni il massimo del risultato non si ottiene “competendo” ma “cooperando”.
In pratica Nash ha contribuito a far comprendere agli economisti che non è utile perseguire solo la massimizzazione del profitto bensì guardare alla relazione con gli altri attori dello scambio come ad un investimento.
Mi spiego meglio con un esempio: se il valore di ciò che offro al mio cliente è 100 e ne ricevo in cambio 100, secondo la precedente teoria di Adams Smith sto operando in perfetta coerenza con i principi della massimizzazione del profitto e ottengo il miglior risultato per ognuno degli attori in quella singola interazione. Potremmo invece dire che Nash, a fronte di una contropartita di 100, propone a chi vende di offrire 130 al suo cliente. Ciò sembrerebbe non coerente con la massimizzazione del profitto ma così non è, perché?
La negoziazione Incrementale
Proviamo a spiegare le differenze tra una negoziazione “alla Smith” o statica e quella “alla Nash” o incrementale: nel primo caso (quando chi offre e chi riceve ha un risultato di 100) lo scambio è perfettamente equilibrato, non è necessaria nessuna ulteriore interazione e la relazione cliente-venditore si esaurisce. Nel secondo caso invece il sistema è squilibrato, gli equivalenti non sono perfettamente ricompensati e, come la stessa fisica e la teoria dei sistemi economici (che sempre sistemi di scambio di energie sono e come tali replicano le leggi della fisica) insegnano, il disequilibrio tenderà nel tempo a riequilibrarsi, generando un nuovo scambio all’interno del sistema o addirittura generando un nuovo sistema. Tradotta in termini di mercato significa che il nostro cliente sarà naturalmente indotto a ritornare ad interagire con noi, generando nuovi scambi e nuovi acquisti o addirittura mettendoci in contatto con nuovi clienti. Stiamo parlando di fidelizzazione nel primo caso e di passaparola nel secondo, due degli obiettivi principali di una strategia di marketing che si rispetti. Quindi trasferite maggior valore ai vostri clienti rispetto a ciò che ne ricevete in cambio, non per buonismo ma perchè otterrete nel tempo (e non nella singola interazione) migliori risultati.
Il mio amico Daniele aveva quindi ragione e adesso lo so non soltanto per istinto, ma la cosa più importante è che potrò dormire notti serene.
PS John Nash è morto in un incidente stradale il 24 Maggio 2015, la notizia ci ha lasciato con una grande tristezza. A lui io debbo personalmente la passione per l’economia e la tesi di laurea, che per argomento ha avuto proprio la teoria dei giochi strategici. Passodue poi gli deve il nostro libro sulla vendita etica, in gran parte ispirato alle sue teorie. Una grande perdita per l’economia e per l’umanità.
| partem claram semper aspice |
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comincio a non essere tanto d’accordo con questo discorso perchè ritengo che ci sia un impoverimento dei rapporti umani che porti a valutare la riconoscenza (anche come ritorno economico) inutile segno di debolezza, lì dove il mero riscontro economico supera tutto
Cara Valeria, nel caso di rapporti umani non finalizzati a raggiungere un obiettivo (supposto che ne esistano) sono d’accordo con lei, ma il mio articolo parla di rapporti commerciali che per forza di cose sono finalizzati a creare valore in termini di reddito. Se l’obiettivo è chiaro e noto ad entrambi gli attori credo che il problema etico che lei pone sia risolto.
Un buon commerciale cerca sempre di operare come il suo amico Daniele perchè ha scolpito bene in mente due cose in particolare:
1) Fidelizzazione del cliente
2) Mettere al riparo il cliente (specialmente se è un buon cliente) dagli altri operatori commerciali
Infatti la cosa più difficile per un commerciale, non è tanto stabilire un rapporto personale e lavorativo con il suo interlocutore, quanto instillare nel cliente l’idea che si è i migliori e che qualsiasi cosa si debba fare in futuro, il riferimento siamo noi. Per raggiungere questa condizione il commerciale deve investire sul cliente, facendogli percepire con i suoi comportamenti che in realtà per lui non è solo un cliente ma bensì molto di più; un amico, un consigliere cui potersi affidare ad occhi chiusi. Perchè vale la pena di ricordare che il cliente, se coccolato da noi, continuerà ad essere uno strumento di promozione e sponsorizzazione nei nostri confronti che vale da solo, più di cento campagne pubblicitarie. Meglio avere cento clienti che continuano a comprare e a farci pubblicità, piuttosto di 1000 contatti di sconosciuti.
[…] come ci ricorda Nash, il miglior risultato si ottiene quando ciascun componete del gruppo fa il meglio per sé e per il […]