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di Alice Alessandri e Alberto Aleo

Emanuele ha 20 anni e ne compirà 21 a ottobre quando sarà tornato in Florida dove frequenta il 2^ anno di biologia Marina alla West Florida University di Pensacola negli USA, mettendo il suo talento di play maker nella squadra universitaria degli Argonauts. Quando parliamo di “professione” con lui intendiamo quella di studente e di giocatore di basket. Lele, come tutti lo chiamano, è un ragazzo asciutto, pulito, concreto e sorridente. 1,77 cm di saggezza, studio, assist e tiri a canestro che vi raccontiamo in questa intervista.

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Diario – Che cosa cerchi nella tua professione e quali talenti metti in gioco praticandola?

Lele – Tutto è iniziato l’estate di 4 anni fa; al campo di Sportilia mi era stato assegnato il Premio Papini al “giocatore ideale” che si distingue per il comportamento corretto sia dentro che fuori dal campo. John Saintignon (allenatore americano di pallacanestro e scout di nuovi talenti n.d.r.) ha proposto ai miei genitori di mandarmi in America. Non avevo mai pensato fosse possibile andare a giocare dove la pallacanestro è nata e si disputa il campionato più entusiasmante del mondo, l’NBA. Dovevo frequentare la 5^ superiore, avevo appena conosciuto Sofia, la mia ragazza, e mi sembrava tutto così lontano. Quasi per gioco ho selezionato su internet i campus americani dove si studiava biologia o zoologia e si giocava a basket. Contemporaneamente mi sono messo a studiare inglese: tutte le mattine di quell’estate mentre i miei amici andavano al mare io prendevo il treno per fare 3 ore di lezione a Rimini. Così tra allenamenti, partite, lezioni di lingua, 3 tentativi per superare il TOEFEL e 2 per il SAT, sono trascorsi 2 anni e adesso sono ufficialmente uno studente e un giocatore dell’Università di Pensacola in Florida. La qualità che più di ogni altra mi ha consentito di riuscirici è stata la sincerità: ho sempre detto la verità, ho fatto vedere chi sono veramente, mi sono messo in gioco senza false sicurezze ma credendo in me stesso. Mi sono semplicemente detto “vediamo cosa succede a essere se stessi e inseguire i propri sogni!”. Sarei potuto andare in un’università dove, con un team che milita in un girone inferiore, sarei sicuramente entrato in squadra più semplicemente, ma punto a migliorarmi quindi ho cercato una sfida più grande. 

Diario – Che cosa dai agli altri attraverso il tuo lavoro e come?

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Lele – Mi impegno a motivare i miei compagni e cerco, con i fatti, di far capire loro che siamo una squadra; essere bravo non ti dà il diritto di agire di testa tua o di riposarti in difesa. Si è in 5 e tutti si devono impegnare al massimo. lo, proprio per il mio ruolo in cui chiamo gli schemi e dò gli ordini in campo, cerco di essere un leader e cerco di farlo con l’esempio. Se io corro loro corrono, se rallento lo fanno anche loro. Devo conoscere i miei compagni e sapere chi deve essere spronato o chi invece va solo rassicurato. Cerco di dargli serenità anche quando i nervi sono tesi invitandoli a fare un bel respiro e rimanere concentrati.

Diario – Che rapporto c’è per te tra felicità e successo?

Lele – Dipende da cosa pensi sia il successo per te. Se arrivassi in NBA (il massimo per chi gioca a basket) avrei raggiunto il successo che non significa soldi o viaggiare in business class, ma dare un senso al mazzo che mi sono fatto! Hai successo perché la felicità di fare ciò che ami e la passione ti spronano a imparare, ascoltare, aiutandoti a superare la fatica. Se non arriverò a giocare da professionista sarò felice lo stesso perché non ho lasciato nulla al caso e mi sono impegnato al massimo.

Diario – L’economia classica ci ha insegnato che per raggiungere il benessere è necessario perseguire solo l’interesse personale, è così anche per te e che spazio dai all’etica nei tuoi rapporti di lavoro?

Lele – Secondo me serve trovare un giusto equilibrio: non essere troppo individualisti ma perseguire il proprio interesse tenendo conto della relazione con il prossimo. Puoi rinunciare a un po’ della tua felicità per permettere ad un altro di essere felice insieme a te; a me, ad esempio, piacerebbe fare tantissimi punti però se posso farli fare ai miei compagni sono anche più felice; non vado sempre a canestro e faccio più assist, così mi sono guadagnato il rispetto di tutti.

Diario – Tutti parlano di crisi, ma come è davvero cambiata la tua professione in questi anni e che lezione hai imparato per migliorarti?

Emanuele Lele Montaguti

Lele – I ragazzi miei coetanei potrebbero informarsi di più, uscire dalle mura di casa e ampliare gli orizzonti. Non tutte le opportunità costano miliardi, magari serve solo qualche sacrifico. Ho imparato che oggi per un giovane è necessario rischiare di più e mettersi in gioco con consapevolezza. Se rimani a casa ti immagini un mondo molto peggiore o molto migliore: bisogna andare a vedere.

Diario – Quale suggerimento vuoi dare ai lettori in base a quello che hai vissuto?

Lele – Come dice Kong Fu Panda “ieri è storia, domani è mistero, oggi è un dono: per questo si chiama presente”. Io mi faccio guidare da questa massima in molti aspetti della mia vita. Dove sarò tra 4 anni? Non lo so, magari a curare il laghetto che sto costruendo in questi giorni. Se penso oggi a cosa succederà tra 4 anni mi creo problemi che forse non arriveranno mai e vivo male il presente. Invito tutti a prendere il meglio dal momento attuale, guardando con occhio ottimista al futuro.

| partem claram semper aspice |

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Consulente e formatrice di professione mi definisco un “informatico anomalo”: laureata in Scienze dell’Informazione sin da subito mi sono indirizzata verso il settore della comunicazione interpersonale. La mia esperienza di oltre 10 anni come imprenditrice mi ha permesso di gettare le basi per quello che sarebbe diventato il mio progetto più importante, Passodue: società di consulenza e formazione che combina profitto ed etica, successo professionale e felicità. Con Alberto aiuto le aziende a compiere il loro secondo passo verso un successo fondato sull’etica e le relazioni.

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