skip to Main Content

di Andrea Ceccaroni

La prima volta che ascoltai qualcuno pronunciare la parola “Innovazione” fu in Università. Ovviamente, mi era già capitato in precedenza di sentire usare questa parola in altri contesti, ma la prima volta in cui l’Innovazione (con la “I” maiuscola) penetrò la barriera della mia disattenzione fu proprio durante una conferenza cui assistetti da studente. Da quel giorno non smisi mai di pensare a questa parola come ad una sorta di “mamma” del design. Anzi se dovessi tradurre con un solo termine “design” sceglierei proprio innovazione. Design e’ innovazione: deve esserlo! Dovrebbe esserlo… sarebbe bello se lo fosse…

innovazione

L’ Innovazione è la dimensione applicativa di un’invenzione o di una scoperta. L’innovazione riguarda un processo o un prodotto che garantisce risultati o benefici maggiori apportando quindi un progresso sociale, anche se a volte non sempre efficaci e migliorativi rispetto a ciò che va ad innovare.

Lo dice la versione italiana di Wikipedia. Una riga e mezzo di definizione … Solo una riga e mezzo? Così poco? Mi chiedo poi perché ci debba essere scritto “a volte non sempre efficaci”? Perché quando si parla di innovazione, cambiamento e creatività, noi italiani siamo portati ad inserire dei “anche se”, “ma”, “tuttavia”?  Decido di investire tre click in più cercando la stessa identica parola, ma in un’altra lingua, in un’altra cultura…

Innovation is the application of new solutions that meet new requirements, inarticulate needs, or existing market needs. This is accomplished through more effective products, processes, services, technologies, or ideas that are readily available to markets, governments and society. The term innovation can be defined as something original and new that “breaks in to” the market or into society. One usually associates to new phenomena that are important in some way. A definition of the term, in line with these aspects, would be the following: “An innovation is something original, new, and important – in whatever field – that breaks in to (or obtains a foothold in) a market or society.”

Altro che due righe. Ecco che ritorna il sorriso. Vittoria schiacciante degli anglofoni che come al solito, se pur meno retorici e filosofeggianti di noi, sanno come esaltare e caricare le parole che lo meritano.

Leggendo il testo inglese, la parola Innovazione mi piace ancor più di prima. E’ una parola che racchiude il Futuro: un sogno di futuro per lo meno. Cerco le parole chiave nella definizione, così per gioco: nuove soluzioni, bisogni, idee, originalità, importante, migliore. E poi questo carichissimo breaks in to. Una parola ariete che sfonda i muri, distrugge gli ostacoli, a testa bassa verso un obiettivo. Breaks in to! BUM BUM BUM. Questa parola è carichissima!!!

innovazioneUna cultura che svilisce il concetto di innovazione tende a fare lo stesso con il design. Ed infatti, qualsiasi cosa se ne dica, nei fatti è comune sentir parlare di design italiano intendendo le auto sportive, i modelli di scarpe, le forme di occhiali, i cataloghi infiniti di maledette sedie. Ma il design è qualcosa di moooolto di più che un semplice esercizio stilistico o una  decorazione.  E’ più nel processo, nel motivo per cui gli ingredienti della progettazione sono scelti, nel modo in cui sono utilizzati, ma soprattutto, il design è il RISULTATO di questo processo. Un risultato che unisce la forma e la funzione, lo stile e la tecnica in modo GIUSTO, corretto, il cui esito finale non può essere altro che logico, intelligente e quindi anche bello. Il design inteso come problem solving: è questo il modo di fare design che vorrei tanto imparare!

Quando mi chiedono di spiegare cosa faccio per pagarmi l’affitto, è sempre un delirio. Faccio questo, faccio quello, un po’ di questo, a volte quell’altro. “Quindi in pratica ti occupi di qualsiasi cosa” ribattono i miei interlocutori. Effettivamente si! Qualcuno ha un problema, un problema qualsiasi, ce lo porta in studio ed io e i miei colleghi lo giriamo e lo rigiriamo finchè non troviamo il modo di farlo sparire dalla circolazione, rimpiazzato da una soluzione. Ecco che ritorna la definizione di designer come problem solver, un innovatore creativo, che crea, che plasma idee intangibili trasformandole in risultati tangibili.

Ecco che allora il termine designer mi sembra quasi un sinonimo di essere umano: l’uomo che agisce, che inventa il futuro. Siamo tutti potenziali designer quindi! C’è chi lo fa senza pensarci, c’è chi lo fa per hobby, c’è chi lo fa per salvarsi la pelle, c’è chi lo fa come mestiere!

“Tutti noi siamo progettisti nel momento in cui modifichiamo una situazione esistente rendendola più favorevole. La progettazione risulta perciò alla base di tutte le attività umane.” (John Thackara, In the bubble: design per un futuro sostenibile)

meeting

Questa a mio avviso è la morale da imparare (E METTERE IN PRATICA!) per poter fare questo lavoro nel miglior modo possibile. Il designer è l’uomo innamorato del domani, del futuro ma con le mani impastate nel presente. E considerando ciò che ci succede attorno, mi sembra che ci sia tanto tanto bisogno di innovazione e quindi di “design”: ci sono così tanti problemi da risolvere da non far dormire la notte tutti i team di creativi del pianeta ma i “migliori” sembrano più occupati a progettare nuovi modi per riposare il sedere (maledette sedie!) che ad innovare veramente.

“Da giovani si sogna” mi dicono tutti, “poi un giorno cresci e ti rendi conto che invece di sognare era meglio se ti tiravi su le maniche per dare un senso alla tua vita”. Mi auguro di raggiungere un equilibrio tra l’uno e l’altro approccio perché questa è l’idea di designer più bella e completa che mi viene in mente: un sognatore futurista che continua a guardare al domani, ma allo stesso tempo non si siede mai su queste maledette sedie, piuttosto sta in piedi e fa, trovando soluzioni pratiche a problemi veri!

Le foto utilizzate – là dove non siano di proprietà della redazione o dei nostri ospiti – sono acquistate su Adobe Stock e IStockPhoto o scaricate da piattaforme come UnSplash o Pexels.

Ti è piaciuto questo articolo e vuoi approfondire i temi?

Scopri il nostro terzo libro "Diario di un Consulente", curato da Giovanna Rossi. È una raccolta degli articoli più significativi del nostro blog insieme alla storia dei dieci anni di Passodue.

diario di un consulente libro

Un percorso accademico non convenzionale insieme ad una carriera manageriale che è durata più di un decennio nel ruolo di responsabile marketing e di direttore vendite per note aziende italiane, mi hanno trasformato in un “architetto” di strategie di mercato. Nel 2011 ho fondato insieme a mia moglie Alice lo studio di consulenza e formazione Passodue il che mi ha permesso di poter mettere a disposizione dei clienti un bagaglio di esperienze e conoscenze molto vario, che spazia dall’economia, al marketing, alla gestione di reti commerciali.

Questo articolo ha un commento

  1. Grazie Andrea…non so quanti anni tu abbia…ma le tue sembrano parole di un giovane speranzoso e pieno di energia…le stesse parole e gli stessi pensieri che credo di aver detto o provato…forse con altri termini e in altro modo fino a qualche anno fa… Credo ancora oggi a quanto scrivi e concordo con la tua analisi….forse però con qualche anno in più di te e con un po’ più di cinismo inevitabile imposto dai segni dell esperienza e dall età matura. Età che come ben scrivi ti impone la necessità di dare un senso a quello fai e contemporaneamente trovare soluzioni concrete a problemi tuoi,…personali… Sperando contemporaneamente di essere utile anche agli altri con la tua vita e il tuo lavoro…con i tuoi pensieri e le tue azioni. M.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Diario di un consulente alberto aleo alice alessandri giovanna rossi

Segui il Blog

Back To Top