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di Serena Calderoni | 5 minuti di lettura
Noi di Passodue veniamo spesso chiamati nelle aziende a trattare i temi della Intelligenza Emotiva e della gestione delle emozioni, con l’obiettivo di aiutare le persone a ri-conoscerle e darsi il permesso di provarle, viverle, e poter valutare consapevolmente le azioni da mettere in campo rispetto ai propri obiettivi (vedi anche l’articolo dedicato alla reattività emotiva).
A questo proposito troviamo interessanti gli spunti ricevuti in un podcast uscito qualche tempo fa sul giornale Il Post dal titolo “Le Basi”, dedicato appunto all’esplorazione delle emozioni e del loro funzionamento, in un dialogo fra l’autrice Isabel Gangitano e la psicologa Serena Barbieri di Spazio Forma Mentis.
Vogliamo qui condividervi le nostre riflessioni che provengono da esperienza diretta del lavoro su di sé messo a servizio degli altri, sia in ambito lavorativo che di crescita personale.
Cosa sono le emozioni
Le emozioni, dal latino emovere, nel significato di trasportare fuori, smuovere, scuotere, sono una predisposizione all’azione, degli algoritmi iscritti nel nostro patrimonio genetico, e messi a punto dalla selezione naturale, che codificano comportamenti da tenere di fronte a stimoli, ciò che accade fuori e dentro di noi. Esse rappresentano il collegamento fra il corpo e la mente.
E stringere le mani per fermare qualcosa che è dentro me
Ma nella mente tua non c’è
Capire tu non puoi
Tu chiamale se vuoi emozioni
(Lucio Battisti)
Parlare di emozioni significa muoversi nell’ambito dell’esperienza soggettiva: ad esempio, la frustrazione di non sapere come controllare la rabbia, o il disagio di sentirsi tristi quando tutti sono felici, sono esperienze soggettive che la nostra mente produce e pertanto difficili da misurare e da gestire con regole standard o prestabilite.
Anche nella loro trattazione ci sono vari modi di considerarle e approfondirne il funzionamento.
Le emozioni primarie
Impossibili da catalogare in positive o negative, le emozioni primarie hanno il ruolo fondamentale di garantirci la sopravvivenza, nello stretto legame fra l’individuo e l’ambiente, richiamando la nostra attenzione su qualcosa che accade.
Come sappiamo dagli studi antropologici (primi fra tutti quelli condotti da Paul Ekman) le reazioni alle emozioni primarie sono uguali in tutto il mondo e si esprimono con le stesse espressioni del volto e del corpo al di là del contesto culturale di cui si è parte e per questo sono istintivamente riconoscibili da ogni essere umano. Venite, andiamo a conoscerle!
Disgusto
Fra le emozioni primarie è quella forse meno considerata eppure importantissima alla sopravvivenza perché legata alla nutrizione. È l’emozione dei confini, cioè aiuta a proteggere l’organismo da qualcosa che sembra buono ma che non lo è. Il disgusto dice qualcosa di noi, “a me personalmente quella cosa non va”, e non ha niente a che fare con il disprezzo che è invece un giudizio sull’altro, emozione secondaria legata alla valutazione negativa su un oggetto o una persona in sé. Se inibita porta alla perdita del filtro d’ingresso e dei confini del sé.
Come gestirla? Una strategia di regolazione del gusto è l’assaggio: prendersi il tempo per gustare qualcosa e poi discriminare ciò che è buono per me e ciò che non lo è.
Rabbia
Vista come negativa, è invece una delle emozioni primarie che iper-attiva il sistema nervoso per reagire di fronte ad un problema. Si attiva quando percepiamo un ostacolo fra un bisogno (stimolo interno) e la sua soddisfazione. È l’emozione del problem solving e della determinazione, ci spinge a superare l’ostacolo e non ha nulla a che vedere con l’aggressività che è invece un comportamento conseguente alla spinta emotiva.
Come gestirla? Mi calmo (il famoso “contare fino a 10”) respirando, valuto la presenza dell’ostacolo e lo distinguo da una reale minaccia per la sopravvivenza, cioè rileggo lo stimolo per non agire d’impulso e andare sulla soluzione.
Gioia
È cugina della rabbia, in quanto entrambe le emozioni partono dall’intercettare nell’ambiente circostante la soddisfazione ad un bisogno. Se la rabbia sale quando viene percepito l’ostacolo, la gioia si attiva nel momento in cui viene trovata la soluzione e l’ostacolo rimosso.
Anche la gioia spesso porta con sé l’incapacità di provarla a causa del condizionamento sociale che ci mette sempre a confronto con le risorse altrui spingendoci a rinunciare a noi stessi a favore della appartenenza al “branco”. Da qui la vergogna quale emozione secondaria che funziona da filtro per la soddisfazione personale a salvaguardia della appartenenza sociale.
Paura
È l’emozione più arcaica, collegata a meccanismi di difesa di fronte a pericoli ed è tipica dell’animale sociale. Tre sono le possibili reazioni:
- l’aggressività, ti attacco io prima che lo faccia tu
- la fuga o l’evitamento
- il congelamento o spegnimento della reattività
Come gestirla? Ripartendo dal corpo: espirare per contrastare l’automatismo della iperventilazione e disinnescare nel cervello la percezione del pericolo, creando uno spazio che riduce l’intensità dell’emozione e ci permette di valutare se il pericolo è reale oppure no.
Tristezza
Legata alla percezione della perdita, interviene nella sopravvivenza dei mammiferi disattivando il sistema. Questa emozione infatti ci spinge a ritirarci per diminuire l’esposizione ai pericoli e la dispersione di energie, permettendo la ricarica del corpo.
Nella nostra cultura della iper-connesione è difficile concedersi di raccogliersi, prendersi cura e così potremmo finire per percepire le nostre emozioni come un disturbo all’adeguamento sociale.
Come gestire tutto questo? Verificare se la tristezza è coerente con ciò che sta accadendo (ad esempio un lutto) e prendersi un tempo di cura per se stessi.
In caso contrario, quando la tristezza permane e diventa un vero disturbo per il proprio benessere dobbiamo chiedere aiuto.
Le emozioni secondarie: l’essere umano è un animale sociale
Servono per fare valutazioni sul rapporto con gli altri per non ostacolarne la sopravvivenza tramite la soddisfazione dei propri bisogni.
La società tende ad inibire la soddisfazione dei bisogni personali a favore dei bisogni sociali.
Per questo fin da piccoli, per cultura o per educazione, abbiamo presto imparato a impedire alle nostre emozioni di emergere, a bloccare il nostro sentire, o in casi estremi a disinnescarle: il senso di disgusto sostituito dal compiacere e non saper dire no, il sorgere della rabbia bloccato sul nascere perché considerata negativa o pericolosa, il senso di tristezza confuso con debolezza di carattere.
Oggi sappiamo che la consapevolezza è lo strumento di regolazione delle emozioni per trovare equilibrio nel rapporto con gli altri, nel rispetto dei reciproci bisogni.
Per allineare il nostro centro emotivo con la mente e il corpo possiamo imparare a:
- riconoscere e lasciare spazio a tutte le emozioni che stiamo provando
- tornare in contatto col corpo per scegliere le azioni da mettere in campo
- accettare che non sempre tutto va bene ma che possiamo trovare una soluzione
| partem claram semper aspice |
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