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da un dialogo con Natale Brescianini

Natale Brescianini, recentemente entrato nella squadra Passodue, fa il consulente e nel suo lavoro affianca aziende (alcune dai nomi altisonanti), aiutandole a trovare la strada dell’identità e della coerenza per promuoverne il successo grazie all’etica. È particolarmente qualificato nel farlo perché Natale, oltre che un esperto, è anche monaco benedettino, appartiene cioè ad un’organizzazione millenaria che fin dalla notte dei tempi ha promosso il lavoro, la preghiera e lo studio come attività non solo conciliabili ma in grado di migliorare l’essere umano nella sua interezza. Egli è quindi la persona più indicata per indagare il rapporto tra ricchezza ed etica, rispondendo a dei quesiti che ancora oggi assillano molti manager e imprenditori.

Perché un monaco si occupa di formazione aziendale?

Utilizzando un linguaggio comune potrei rispondere “per caso”, ma nel mio mondo il caso non esiste; esistono le Dio-incidenze!!

Nella mia formazione umana e monastica ho fatto due esperienze molto particolari: ho vissuto un anno in California, presso un nostro monastero e poi – tornato in Italia – ho lavorato per due anni in una azienda veronese. Lì sono venuto a contatto con il mondo del lavoro e della formazione professionale. Volendo capire un po’ di più, una sera, era il 2006, mi recai in libreria e mi fiondai nella sessione Economia e Management. Sempre “per caso”, trovai un testo – L’Organizzazione Perfetta: La Regola di San Benedetto, una saggezza antica al servizio dell’impresa moderna  che mi fece esclamare WOOW!!! I pensieri che avevo in testa non erano allora poi così campati per aria!!!

Da allora cerco di accompagnare organizzazioni e persone in percorsi che, utilizzando come metafora la mia tradizione monastica, possano essere utili per dare un senso più profondo al tempo trascorso al lavoro (che è circa 80 o 90% della vita) e quindi trovare comportamenti funzionali al significato che ognuno di noi cerca di dare alla propria esistenza, senza il quale non è facile ottenere risultati nemmeno nel business.

Il rapporto tra Ricchezza e Etica

In azienda sentiamo spesso parlare di “mettere la persona al centro” ecco forse tutto questo non basta: occorrono persone “centrate” per far fronte alla complessità e alla ricchezza del nostro tempo e alle varie crisi che affrontiamo. Quindi nel mio ruolo di monaco/consulente non perseguo nessun intento di proselitismo, ma solo di condivisione e riflessione.

È possibile un equilibrio tra etica e ricchezza?

Questi ormai 14 anni di lavoro (anche se non full time) mi hanno sempre più convinto che spiritualità, etica e profitto o ricchezza devono stare in equilibrio. Innanzitutto devono essere intesi come strumenti e non come fine.

Il rapporto tra Ricchezza e Etica


Il fine è il Bene Comune che, in modo molto sintetico e forse parziale, potremmo definire come la condizione di benessere di ogni singola persona e del contesto sociale in cui essa vive, si muove, si relaziona.


In quest’ottica, mi verrebbe da sintetizzare così la relazione tra spiritualità, etica e profitto:

La spiritualità dona il senso, aiuta a mantenerlo vivo; l’etica ci indica la strada, il metodo con cui arrivare alla meta; il profitto e la ricchezza che da esso deriva, ci offre i mezzi per poter camminare sulla strada che porta al bene comune.

A cosa serve la spiritualità in azienda?

La crisi del 2008 e poi quella più attuale della pandemia, ci han fatto toccare con mano come un certo modo di concepire l’agire economico abbia fatto il suo tempo; è stato utile, ha portato molti vantaggi, ma ci rendiamo conto che rappresenta una visione parziale dell’essere umano e del mondo in generale. C’è bisogno di uno scatto in più. Infatti, come esseri umani siamo felici, ci sentiamo bene, realizzati, non solo quando abbiamo tanti beni concreti, ma soprattutto quando viviamo relazioni sane con noi stessi, gli altri e l’ambiente.

Possono sembrare riflessioni di buon senso o scontate, ma forse le abbiamo un po’ perse di vista.


La spiritualità ci spinge a fare i confronti con la libertà di ciascuno di noi.


  • Abbiamo imparato a essere liberi “da” qualcosa (non per tutti ancora, purtroppo): fame, ignoranza, malattie, ecc..
  • Abbiamo imparato a essere liberi “di” (anche qui non sempre vale per tutti): scegliere, decidere, modificare le cose, ecc..
  • Forse ora dobbiamo imparare a essere liberi “per”: aprirci all’altro, al diverso, ad un senso più grande dell’agire economico delle imprese e del lavoro stesso.

C’è tanto da fare, ma facciamolo con gioia!!

Come costruire una nuova relazione con la ricchezza?

Il rapporto delle persone, soprattutto se di fede, con la ricchezza è sempre molto articolato.

Come Chiesa, non solo Cattolica, ad esempio nel corso di circa 2000 anni di storia in merito al tema abbiamo fatto tutto e il contrario di tutto!!

Abbiamo sempre gestito (con alterne fortune) immensi patrimoni di denaro e di immobili (per non parlare della Cultura, ma questo è un altro tipo di ricchezza).

Abbiamo cercato di combattere l’usura, la concentrazione delle ricchezze, le disuguaglianze e nel contempo anche flirtato con mondi speculativi, per nulla attenti alla dignità della persona e all’importanza del pianeta Terra.

Per approfondire a livello di pensiero invito tutti a studiare (non a leggere soltanto) la Dottrina Sociale della Chiesa, almeno il compendio, o rimanere in contatto con il Dicastero per lo Sviluppo Umano Integrale voluto da Papa Francesco.

Dal mio piccolo punto di vista vorrei sottolineare una riflessione:

“Nel Vangelo il problema non è la ricchezza, ma il cuore dell’essere umano di fronte alla ricchezza.”

Gesù stesso non era povero in senso tecnico: la sua comunità aveva una cassa con dei soldi per le necessità (la gestiva Giuda e quindi non era il massimo); vestiva bene (sotto la croce i soldati non dividono la sua tunica perché era cucita tutta d’un pezzo, cioè era di valore); amava i banchetti di un certo livello (le parabole in cui cerca di descrivere come sarà il paradiso parlano tutte di banchetti molto abbondanti e gioiosi, e poi veniva additato come “mangione e beone” dai suoi antagonisti).


La ricchezza, come il potere, è uno strumento molto potente, affascinante; basta poco per farsi travolgere; può essere anche subdolo: ci illude con la promessa di renderci liberi e padroni di tutto, ma poi ci trascina in una schiavitù mortale.


Oppure è vista come qualcosa che possa nuocere all’intenzione con cui agiamo: farsi pagare va contro la gratuità, la generosità; ma così facendo confondiamo la logica del “dono” con quella del “gratis” e su questo nel mondo religioso cattolico occorrerebbe aprire una riflessione seria e profonda.

D’altro canto, se creata e utilizzata correttamente, la ricchezza apre spazi infiniti di fare del bene!!

Il denaro acquista un valore per valorizzare (perdonate il gioco di parole) la professionalità di una persona, le sue competenze. Apre spazi di azione e di investimento (in senso più ampio possibile); sostiene la quotidianità della vita. 

– – –
Per riscoprire il rapporto tra ricchezza ed etica non basta organizzarci al meglio, con tutte le certificazioni etiche e di sostenibilità appese alle mura. Abbiamo bisogno di persone che incarnino autenticamente un cuore che abbia chiaro il bene comune come orizzonte di senso.
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Torniamo a quel divenire liberi “per”, senza dimenticare il liberi “da” e il liberi “di”. Ritrovare un giusto rapporto con la ricchezza non è solo una sfida per chi ha una posizione rilevante nella società. È questione di postura, di atteggiamento.

E questo vale per tutti.

| partem claram semper aspice |

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Passodue, studio di consulenza e formazione, nasce nel 2012 dalla volontà di Alice Alessandri e Alberto Aleo di unire le loro esperienze per dare una svolta alla vita personale e professionale. Il progetto è basato sull’idea di cambiare la forma mentis del mercato rispetto ai concetti di “vendita”, “marketing” e “leadership” dimostrando che fare business eticamente si può e può essere assolutamente efficace.

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