di Alberto Aleo
Chi sono i nostri clienti e cosa significa profilarli? Come si fa ad indagare il potenziale di un possibile consumatore che ancora non abbiamo incontrato? Tempo fa, in un articolo precedente (Cliente che vai strategia che tieni) definimmo il potenziale di un cliente come la somma tra il fatturato che potrebbe sviluppare acquistando direttamente da noi, più quello che (grazie al passaparola o come referenza) può indirettamente aiutarci a generare. Ma cosa osservare per rintracciare questo dato?
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Diciamo anche che il potenziale è, in effetti, legato a doppio filo con l’affidabilità finanziaria: un cliente che potrebbe valere tanto ma è molto impreciso o rischioso nei pagamenti non è un buon interlocutore.
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Nel valutare il potenziale, con le dovute differenze tra settori e concentrandoci principalmente sui mercati B2B (quelli dove i clienti sono altre aziende), noi prendiamo in considerazione dei KPI (indicatori chiave di performance n.d.r.) derivandoli da queste informazioni:
- dimensione del network sociale di appartenenza;
- numerosità e tipologie dei clienti serviti dal mio cliente;
- professione o settore di business;
- frequenza e valore medio degli acquisti;
- altri fornitori presso cui si approvvigiona;
- reddito o fatturato;
- dislocazione geografica;
- comportamento di pagamento;
- tipo di elemento della nostra offerta prediletto;
- tipo di interlocutore e suo potere decisionale;
- numero e valore di preventivi eventualmente richiesti.
Quando selezionate un indicatore valutate non solo la sua capacità di fornirvi informazioni sul cliente ma l’affidabilità e accessibilità della fonte e la misurabilità dei dati. Ad esempio chiedere ogni volta in camera di commercio il bilancio di un cliente che volete abbordare, se pur ci darebbe informazioni importanti, potrebbe essere complesso o anti-economico. Ancora includere tra i KPI la maggiore o minore affabilità dell’interlocutore con cui ci troviamo a negoziare restituirebbe un’informazione qualitativa poco o per nulla misurabile.
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Se il tempo impiegato per reperire l’informazione è talmente lungo da costituire un vero e proprio “costo di gestione” o i dati che ne derivano non sono di tipo quantitativo, sarà molto difficile utilizzarli.
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Personalmente distinguo due tipi di fonti: quelle interne cioè disponibili in azienda come potrebbe essere l’analisi dei dati storici di vendita o le informazioni in possesso di altri reparti, e quelle esterne che per essere raggiunte impongono una serie di domande dirette al cliente o il confronto con altre organizzazioni. Un modo utile per identificare le caratteristiche di un cliente ad alto potenziale e verificare l’efficacia dei vostri KPI tarandoli sulle reali opportunità perseguibili dalla vostra organizzazione, è quello di studiare i vostri migliori clienti già acquisiti: che parametri ricorrenti riuscite ad identificare osservandoli? Qual è il minimo comune denominatore che li lega? In molti casi basterà trovare interlocutori simili per assicurarvi un buon successo commerciale.
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Una volta decisi i vostri KPI dovrete utilizzarli per assegnare al cliente un valore potenziale, affinando sempre di più l’indagine mano a mano che approfondirete la conoscenza del vostro interlocutore.
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Munirvi di dati oggettivi (anche se inizialmente grezzi) vi permetterà di dare priorità alla vostra azione sui nuovi clienti, di fare previsioni di vendita più mirate e in ultima analisi di incrementare il fatturato. Vi consentirà inoltre di scegliere e personalizzare le strategie d’approccio, ottimizzando i costi di una attività come quella del new business appunto, notoriamente molto, molto onerosa.
E se lavoriamo in un mercato B2C e i nostri clienti sono consumatori finali? E’ una storia che vi racconterò in un prossimo post…
| partem claram semper aspice |
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