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Nella complessità della vita ci troviamo tutti, prima o poi, a confrontarci con cambiamenti radicali. Questi mutamenti possono manifestarsi in ambito professionale o personale, ma una verità accomuna tutti: le cause scatenanti di tali rivolgimenti ci sembrano sempre provenire dall’esterno o almeno così le percepiamo. Davanti a qualcosa che ci forza a prendere una nuova direzione, tutti noi ci siamo chiesti – almeno una volta – se convenisse davvero farlo, se invece non fosse più giusto proseguire per la propria strada, nella convinzione che – se il cambiamento arriva dall’esterno – non è pienamente sotto la nostra responsabilità fare qualcosa per gestirlo.
Tale dilemma affligge il pensiero filosofico da moltissimo tempo, ecco perché lo affronteremo facendo prima un salto nel passato.
Il monaco spietato
Si narra la storia di un maestro Zen che esplorando insieme ad un fedele discepolo le terre circostanti al suo monastero, dove il silenzio e la saggezza erano padroni, inoltrandosi nella campagna, arrivò ad una casa modesta, abitata da una coppia e dai loro due figli.
Vestiti con abiti laceri e sporchi, i loro piedi nudi toccavano sulla terra povera, i membri della famiglia che abitavano la casa accolsero con rispetto e calore i viandanti. Anche se, con un tono di profonda tristezza, il padre avvertì al maestro: “La nostra povertà ci impedisce di offrirvi altro che una semplice minestra. Possediamo solo una mucca, generosa dispensatrice di latte che ci sostiene. Parte del latte è il nostro nutrimento, mentre la restante porzione, venduta, ci consente di coprire le spese che la vita ci impone. In questo modo, sopravviviamo.“
Il maestro e il suo discepolo accettarono l’offerta e, dopo aver esaltato il cuore gentile della famiglia, se ne andarono, lasciando la casa umile e la famiglia. Mentre si allontanavano, il maestro sussurrò al suo devoto discepolo: “Cerca la mucca, conducila al limite del burrone e lasciala precipitare nell’abisso.” Un brivido di sgomento attraversò il giovane, perché la mucca rappresentava l’unico baluardo tra la famiglia e la fame. Tuttavia, obbedendo al maestro, con il cuore affranto, spinse la mucca nel baratro dell’oblio.
Gli anni passarono, e il maestro Zen morì. Un giorno, il suo discepolo, ora un monaco sagace, sentì il richiamo della memoria e decise di ritornare a quei luoghi per svelare il destino della famiglia che aveva perso la sua preziosa mucca. Avvicinandosi alla dimora, rimase stupefatto, poiché al posto della miseria e della desolazione, scorse campi rigogliosi, una casa sontuosa, una stalla e numerosi bambini che giocavano felici in un giardino incantevole.
Il monaco rimase senza parole, aveva infatti supposto che la famiglia avesse dovuto vendere tutto per sopravvivere. Avvicinatosi al padre di famiglia, chiese con curiosità e stupore cosa fosse accaduto. Il padre, con un sorriso radiante, rispose: “Un tempo avevamo una mucca che ci donava il latte e ci manteneva in vita. Ma una notte, la mucca precipitò in un abisso e morì. Da quel giorno la vita ci ha costretto a cercare nuove strade, a coltivare la terra, a costruire utensili e a scoprire abilità che non sapevamo di possedere. Con fatica, abbiamo iniziato a prosperare e le nostre vite hanno conosciuto un cambiamento impensabile”.
Una morale per nulla scontata
Prendendo spunto dal racconto del “maestro Zen” come modello di metamorfosi, è possibile affermare che dietro ogni nostro cambiamento significativo si cela spesso una presenza misteriosa. Questa presenza può apparire sotto forma di un individuo o come la capricciosa manifestazione del destino. Va detto, però, che senza l’intervento di questo “maestro Zen“, la nostra esistenza non conoscerebbe una metamorfosi, indipendentemente dall’attuale stato d’animo o dalla nostra soddisfazione.
È un fatto universale: il cambiamento spesso ci fa sentire a disagio, poiché ci obbliga a riorganizzare le nostre vite, ad abbandonare il noto, a fronteggiare l’ignoto e a uscire dalla cosiddetta “zona di comfort“.
A volte siamo consapevoli che determinati comportamenti o abitudini sono dannosi per la nostra salute, ma il riconoscimento razionale di questa verità raramente si traduce in azione autonoma. Ed è in questo momento che un elemento esterno fa la sua entrata; una malattia, un incidente o la perdita di una persona cara possono rappresentare shock che nella loro tragicità ci conferiscono la forza per superare noi stessi, spingendoci a compiere quel cambiamento necessario, che difficilmente avremmo potuto affrontare spontaneamente.
Lasciarsi andare al cambiamento
Al solo scopo di tenerci ancorati al vecchio di fronte al cambiamento, sviluppiamo stratagemmi che giustificano il nostro comportamento: dall’accusare gli altri delle nostre sfortune fino all’autocommiserazione. Spesso, questi espedienti si traducono in narrazioni interne, storie che continuiamo a ripeterci nella mente o raccontiamo agli altri per sentirci compresi. Tuttavia, il risultato finale è un’autoipnosi che ci allontana dalla realtà effettiva: un illusione ci appare come verità.
Ma come possiamo compiere il cambiamento prima che sia la vita a imporlo su di noi in modi traumatici?
- Il primo passo risiede nella consapevolezza che il cambiamento è inevitabile, parte integrante delle leggi della natura cui, come esseri umani, siamo sottoposti.
- Il secondo passo consiste nell’abbandonare la resistenza verso gli aspetti dolorosi, repellenti e spaventosi della vita, poiché accettando pienamente ciò che la vita ci offre, il dolore, la paura e la repulsione svaniranno. Gran parte del disagio deriva da un’associazione interna tra esperienza e pensiero. Deliberatamente evocare l’esperienza con intenzione spezza questa connessione.
- Infine, il terzo passo, il più arduo, è accettare che qualsiasi cosa accada nella nostra vita sia in ultima analisi per il nostro bene. In questo atto di accettazione risiede la chiave per liberarci dal peso del cambiamento e abbracciarlo come un alleato nella nostra crescita personale.
Concludo con una riflessione: spesso le persone non considerano come gli eventi che si verificano nella loro vita siano in qualche modo legati a chi sono veramente.
Le sfide che emergono, i problemi che si presentano e i conflitti nelle relazioni sono spesso il riflesso di ciò che risiede dentro di noi.
Riconoscere i problemi può essere relativamente semplice, ma accettare che essi siano in qualche modo il risultato di ciò che siamo è una sfida ben più ardua.
Tendiamo a trascurare il profondo legame tra la nostra natura interiore e la realtà che ci circonda. In effetti, il nostro essere interiore modella l’ambiente che ci circonda, contribuendo a generare e a mantenere le circostanze della nostra vita. In questo senso, esiste un vincolo tra la nostra essenza e le esperienze che attraversiamo, un concetto espresso saggiamente dal pensatore del secolo scorso G.I. Gurdjieff quando afferma che “il nostro livello dell’essere attrae le circostanze della nostra vita”.
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