di Alberto Aleo e Alice Alessandri
“L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro”. Quante volte in questi anni di crisi lo abbiamo sentito ripetere da personaggi in cerca di facili proseliti? La Costituzione, la legge fondamentale dello Stato, ridotta a slogan populista.
L’Italia in effetti è una delle poche Repubbliche a citare esplicitamente il lavoro come diritto fondamentale dei suoi cittadini. Questa peculiarità, che sarebbe stata ricca, in effetti da noi ha prodotto pochissimi se non nulli benefici. A ben guardare anzi ha un po’ confuso il rapporto tra diritti e doveri dei lavoratori, permettendo a istituzioni, partiti e personaggi dagli intenti non sempre adamantini di sfruttare a loro favore questa confusione. Siamo arrivati al punto che oggi, se volessimo essere del tutto sinceri, dovremmo sostituire il primo articolo della nostra Costituzione con un più veritiero “L’Italia è una Repubblica fondata sulla pretesa del lavoro”.
A nostro avviso è proprio questo il punto:
per noi Italiani il lavoro spesso è più un diritto che non un dovere.
Ciò ha contribuito ad alimentare un conflitto d’interessi tra datori e prestatori di lavoro e anche un conflitto d’identità tra chi siamo come lavoratori e chi come persone. Addentrandoci infatti nelle conseguenze di questa tragica cattiva interpretazione del messaggio dei “padri costituenti”, potremmo azzardare che vedere al lavoro principalmente come ad un diritto gli preclude la possibilità di essere agente di felicità:
si è felici quando si raggiungo traguardi, quando si ci sfida, si evolve, non sicuramente quando si ottiene un diritto che dovrebbe essere già nostro, perché in quel caso al massimo ci passa l’arrabbiatura di prima, quando il diritto ci era negato.
Ma il lavoro è dunque un diritto o un dovere? Ci verrebbe da dire entrambi, ma prima di ogni cosa esso è uno strumento di realizzazione personale, di costruzione del benessere e della ricchezza nel senso più ampio di significato che questi due termini possono accogliere. Se pretendiamo il lavoro, addormentandoci poi sulla scrivania una volta che lo abbiamo ottenuto come si fa davanti alla televisione nelle serate noiose in famiglia quando anche gli affetti diventano scontati, stiamo distruggendo il senso e il potere delle parole espresse nella nostra Costituzione. Il “diritto” al lavoro (così come le relazioni e l’affetto) va costruito giorno per giorno e alimentato da un’atteggiamento mentale e un comportamento positivi.
Solo assumendoci le nostre responsabilità saremo in grado di costruire benessere e felicità.
Durante questo processo di costruzione ci serviranno certamente degli strumenti e degli aiuti che lo Stato deve (e questo si che è un diritto da pretendere) mettere a nostra disposizione. Invece di indignarci quindi per l’ennesimo concorso statale congelato, parliamo del fatto che l’Italia è scesa ad un tragico 77° posto nelle classifiche di apertura di nuove aziende e che se qualcuno il lavoro se lo inventa prima ancora di aver emesso una sola fattura deve già anticipare delle tasse. Parliamo di tutti i cavilli, balzelli, burocrazie e ostruzionismi che in modo quasi scientifico ostacolano la micro imprenditoria o la neo imprenditoria, riducendo le nostre riunioni di giovani industriali a stucchevoli assisi di giovani figli di vecchi industriali. Negli USA (che nonostante la crisi mantengono il 5° posto mondiale nell’apertura di nuove aziende investendo quotidianamente perché la struttura industriale si rinnovi) non si parla d’altro che di micro imprenditoria. Harvard e le più autorevoli facoltà di economia allevano imprenditori, costruendo per loro non solo competenze e capacità ma anche finanziando le loro idee e investendo concretamente sui progetti!
Anche in Italia c’è tanta gente che non pretende il lavoro ma se lo crea da se. Sabato abbiamo fatto sport. Il nostro personal trainer è Bernardo un ragazzo di 24 anni che dopo la laurea in scienze motorie ha deciso di provarci da solo e si è inventato “outdoor personal trainer” usando il parco comunale della nostra città per far fare esercizi. All’inizio i clienti erano pochi ma già in breve tempo sono iniziati a crescere. Adesso abbiamo un posto dove allenarci anche d’inverno ed il progetto di Bernardo sta salpando. Se qualcuno non lo ostacola tra qualche anno potrà avere una palestra tutta sua e dare lavoro anche ad altri. C’è poi Ambra, che dopo esser diventata mamma ha deciso di aprire la sua casa ad altri bimbi unendo il suo impegno come genitore alla creazione di profitto e benessere condivisi. Certo non dimentichiamo anche coloro i quali dentro un ufficio o in una linea di produzione, si impegnano quotidianamente per rinnovare il “contratto” di fiducia, rispetto e responsabilità, sottoscritto con il loro datore di lavoro.
Questo è il modello di nuovo cittadino che ci ispira: un Italiano consapevole che ancor prima di parlare di diritti e doveri agisce per costruire il suo futuro.
Per questo tipo di cittadino vanno pensati nuovi percorsi, nuovi modelli e nuove leggi che gli assicurino il diritto di creare la sua strada nel mondo e di essere felice e appagato a modo suo.
| partem claram semper aspice |
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Alberto, complimenti ottimo post; condivido in pieno quello che dici
Condivido anch’io quello che dite in questo post e sarei la prima a promuovere più possibile l’iniziativa e l’autoimprenditorialità dei giovani. Ammiro chi si è buttato in un’avventura come quella del personal training nei parchi pubblici.
Purtroppo, però, la realtà è molto più dura e non per tutti è così semplice “fare impresa”.
Ci possono essere condizioni in cui non è possibile avviare il “vantaggioso” regime dei minimi, situazioni in cui la necessità di provvedere ai bisogni quotidiani non permette di avere un’attività propria, ma a comandare è il bisogno di mantenersi.
Non tutti hanno meno di 30 anni e non tutti hanno chi puo’ “sostenerli” mentre si buttano nell’avventura della libera professione…
Non si puo’ far di tutt’erba un fascio, neanche in positivo.
Ciao Antonella, fare di tutta l’erba un fascio è proprio quello che non vogliamo ed infatti il nostro articolo parla di meriti ed impegno dei singoli. Come hai certamente capito, il messaggio è prendersi la responsabilità delle proprie scelte, anche quando queste sono difficili o dure e cercare di fare del proprio meglio sempre: è l’unico modo di rivendicare un diritto che conosciamo…