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di Alberto Aleo

milano

Tempo primo: Ho vent’anni ancora acerbi, una laurea, una ragazza e sto scappando. Nella mia valigia c’è tutto, vestiti, libri, aspettative e paure non solo mie. E’ talmente piena che ho fatto fatica a farci stare dentro i sogni. Sono arrivato in una giornata grigia, di quelle con la nebbia che bagna e le luci accese anche di giorno. Le prime immagini sono apatiche e apparentemente irrilevanti: una piazza con poca erba sopravvissuta allo smog, un bar che pubblicizza l’abbonamento per la colazione, gli androni dei palazzi grandi ma con la portineria minuscola che quasi si stringe su se stessa per conservare un po’ di calore.

IMG_1504_FotorTempo secondo: Torno dopo una lunga assenza. In mezzo ci sono stati mesi da cittadino di una capitale d’oltre oceano e tanta vita quanta ne basta a farsi una famiglia, a trovare un lavoro che finalmente posso dire mio e a smettere di scappare. La metro stavolta non mi inghiotte così assecondo una strana curiosità: voglio provare a riscoprire la nostra unica metropoli europea e toccare con mano il “prodotto Italia” cercandolo proprio dove nasce, cioè nel centro di Milano.

Tempo primo: Sono nato a molte miglia da qui. Mi manca tutto, il sole, gli amici, la ragazza e la dignità di riconoscere ed essere riconosciuto. Inanello giornate uguali come bulloni su una catena di montaggio ma cosa sto costruendo? Mi trovo in una terra di nessuno. I rumori del mio mondo arrivano ovattati e se anche provo ad urlare fin lì, nessuno mi sente. Il peggio che mi può succedere è smettere di farmi domande, così io non smetto.

Tempo secondo: Andando verso San Babila c’è un po’ di nebbia a far da sipario. Mentre cammino il velo si scosta e mi lascia vedere le facciate dei palazzi, il dentro dei cortili, gli abiti dei passanti. Tutto ha una strana uniformità verticale dai colori austeri. Qua e la però restano incastrati dettagli preziosi: il rosso fulgido di un drappeggio, uno scorcio di affresco, l’intarsio bruno di un portone… Cerco una parola per questa qualità velata, per questa poetica interstiziale e me ne viene una che però mi sembra esagerata. Allora faccio un vecchio gioco con me stesso, piego l’esclamazione in domanda: sarà bellezza?

Tempo primo: Non sono uno che piange, ma questa volta è diverso. Su un terrazzo del Politecnico (il luogo più simile ad una casa che frequento qui) mi lascio attraversare dal vento. Mi sento vuoto, mi sento solo e per la prima volta ho esaurito anche le domande. Affacciato verso il basso vedo strisce luminose che s’incrociano sull’asfalto bagnato, impronte dinamiche di vite il cui affanno mi appanna gli occhi come fiato sui vetri. Uno strano senso di appartenenza m’immobilizza abbracciandomi.

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Tempo secondo: Ho perso la misura del tempo e così mi pare d’incontrare le persone che frequentavo qui una volta. Sguardi decisi e conversazioni eleganti, fitte d’idee e progetti. La stessa eco che trovi nelle botteghe del centro e nelle magnifiche fatture delle merci esposte, quasi a ricordarmi che dietro la bellezza e l’armonia c’è sempre una storia concreta e artigiana che racconta di gesti, di impegno e di persone che sanno fare ed essere, oltre che pensare e sognare.

Tempo primo: Sono nato a Milano e lei è nata a me. Ci riconosciamo nei contrasti, nella diffidenza che precede la fiducia del cuore e in quell’anima borghese fatta di lavoro quotidiano, di piccoli passi e pensieri giganti. A vederci da fuori sembriamo estranei come lo eravamo nei nostri primi giorni, in verità la nostra confidenza non è fatta di parole ma di gesti, suoni, odori e sguardi obliqui.

Tempo secondo: Mi volto allo sferragliare di un tram. Scudo crociato su un campo giallo, classico come un maglione che ritrovi nel cassetto dopo molti anni ma che sai di poter indossare ancora e ancora. Salgo e viaggio in un passato di fatti, persone, esperienze cui devo in parte il mio presente. Come un italiano che visitando Little Italy riscopre la sua identità, anche io oggi mescolandomi ai turisti abbagliati, riscopro la qualità tutta italiana di questa città: dietro l’apparente vaghezza, l’indolenza un po’ snob, siede un’eleganza più profonda che appare solo a chi è disposto ad attraversare il primo strato di realtà che, come bruma, vela la bellezza regalandole il fascino della pudicizia. Milano è splendida figlia (o madre) dell’Italia borghese solo apparentemente perduta, ma in verità nascosta. Attenta a schermirsi dagli adoranti e facili ammiratori (dai quali pur si lascia corteggiare), la città si mostra veramente solo quando le voci si abbassano, la nebbia si lascia trapassare e gli sguardi si fanno più attenti e discreti.

“Qui sto più a mio agio che dentro un vecchio abito, è il mio corpo che sente usure e morsi, s’intorpidisce con il sonno, si stira la mattina  in un grigio fumoso delicato come una perla.”

Estratto dalla poesia “Perchè amo questa città” che Giuliano Gramigna dedicò a Milano.

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Un percorso accademico non convenzionale insieme ad una carriera manageriale che è durata più di un decennio nel ruolo di responsabile marketing e di direttore vendite per note aziende italiane, mi hanno trasformato in un “architetto” di strategie di mercato. Nel 2011 ho fondato insieme a mia moglie Alice lo studio di consulenza e formazione Passodue il che mi ha permesso di poter mettere a disposizione dei clienti un bagaglio di esperienze e conoscenze molto vario, che spazia dall’economia, al marketing, alla gestione di reti commerciali.

Questo articolo ha un commento

  1. Milano è una città che divide, o la si odia o la si ama. Per chi è nato e vissuto in provincia rappresenta la metropoli che può offrire tante opportunità ma che in cambio ti chiede di rinunciare ad una dimensione più familiare. Dipende sempre dalle aspettative che si hanno e dagli occhi con cui la si guarda. E lo sguardo cambia con il tempo, in base al proprio vissuto. Credo che tu abbia rappresentato al meglio questa ambivalenza che anche io provo da sempre verso Milano.

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