di Alberto Aleo
Avete presente le partite di calcio all’oratorio con i genitori a bordo campo che fanno il tifo ed elogiano le doti atletiche dei propri figli immaginandone un futuro da campioni? Vi è mai capitato di ascoltare qualcuno parlare di una persona che, nonostante un buon inizio e ottime premesse, non è mai riuscita a realizzare molto nella vita? Entrambe le situazioni ruotano intorno ai concetti di “talento” e di “potenzialità“, e invitano a chiedersi se questi due attributi bastino davvero a raggiungere il successo.
Il talento va allenato
Se esploriamo la storia di alcuni dei più grandi talenti di questi ultimi anni ci accorgiamo che potrebbe non essere così. Bill Gates ad esempio, per molti anni l’uomo più ricco del mondo, ha certamente ricevuto in dono una naturale attitudine per l’informatica e per gli affari ma si calcola che nei primi 30 anni della sua vita abbia passato chino su una tastiera di computer almeno 8 ore al giorno per 7 giorni alla settimana!
I Beatles, la band di maggior successo di tutti i tempi, tra il 1960 ed il 1964 (prima quindi di raggiungere l’apice del loro successo) avevano già suonato in oltre 1200 concerti dal vivo, calcando il palcoscenico praticamente tutti i giorni*.
Che cosa ci dice tutto questo? Sicuramente che il talento va allenato e che gli vanno affiancati strumenti che solo un paziente ed intenso lavoro può fornire.
Il talento quindi, per trasformarsi in professione prima e in successo poi, richiede molto impegno ma attenzione a non scambiare quest’ultimo con la fatica.
C’è infatti tutta un’intera generazione che è stata educata con l’idea, per me delirante, che l’unico modo di ottenere dei risultati nella vita sia faticare. Siamo talmente abituati a concepire il successo solo in tandem con la fatica che alcuni di noi, se non tornano a casa sfatti dopo una giornata di “duro” lavoro, hanno quasi la sensazione di non essersi meritati lo stipendio! Impegno e fatica invece sono due concetti molto distanti, perché l’uno include la passione (che se ci pensate bene e’ alla base di ogni nostro talento) mentre l’altra trasforma ogni cosa che facciamo in sofferenza e quindi, in un certo senso, sta all’opposto di ogni nostro talento.
Se scelgo di vivere seguendo ciò che più mi da gioia e mi coinvolge, certamente avrò maggiori chance di riuscire; se poi dedico a questa attività il tempo e l’impegno necessari, le possibilità di successo aumenteranno esponenzialmente consentendomi oltretutto di godere durante il percorso che mi separa dalla meta finale.
Senza impegno però (che da oggi in poi vi suggerisco di sostituire alla parola fatica) non potremmo accumulare l’esperienza, il metodo e la disciplina necessari a strutturare e a rendere replicabile ogni nostro successo.
Ricordiamocelo mentre incitiamo i nostri figli dal bordo di un campo o mentre sproniamo qualcuno ad utilizzare al meglio i propri talenti.
(*) Per maggiori informazioni riguardo questi dati consigliamo la lettura del libro Fuoriclasse di M. Gladwell.
| partem claram semper aspice |
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Per esperienza personale condivido che la parola fatica non esiste se si fa’ qualcosa che a noi piace,ma l’obiettivo senza “sacrificio” non e’ semplice da ottenere !
Marco