di Alberto Aleo
“Volere è Potere” dicevano i romani. Quante volte ce lo siamo sentiti ripetere, magari dal nostro allenatore, dal nostro capo o dal nostro dietologo? Spesso non siamo riusciti a confutare l’apparente verità di questa affermazione, ma dentro di noi – ne sono certo – almeno una volta nella vita ognuno ha pensato “Si, magari fosse vero!”
Forza di volontà e senso del dovere
Se affermare la totale equivalenza tra volere e potere sembra più una faccenda da super coach esperti del self-empowerment, per noi comuni mortali esiste comunque la possibilità di farli coesistere? Provare a metterli insieme in un ragionamento di senso compiuto – che non sappia di slogan – sembra infatti una sfida utile, se è vero come è vero che alcuni di noi, con la sola forza di volontà, sono riusciti là dove molti hanno fallito. Spesso però volere e potere sono usati in modo intercambiabile anche in rapporto ad un altro verbo che è “dovere“. Questa apparente sostituibilità dell’uno con l’altro non lascia però il significato delle frasi esattamente immutato, anzi sembra svelare un approccio totalmente diverso rispetto a ciò che stiamo descrivendo. Se, ad esempio, dico “stasera devo andare a cena con mia moglie” non è lo stesso di dire che “stasera voglio o posso (magari finalmente) andare a cena con mia moglie”. In altre parole i teorici della comunicazione paiono rivolgerci questa domanda:
Quante delle tue scelte sono davvero libere se per descriverle usi il verbo “dovere”? E analogamente, quante volte la forza di volontà si confonde con l’impegno e il senso del dovere?
Se penso alla mia vita mi rendo conto di essere nato e cresciuto, almeno fino ai 14-16 anni, nel mondo dei “devo”. Sia l’educazione ricevuta, sia il contesto ambientale in cui mi muovevo (ho frequentato una scuola cattolica) declinavano questo verbo in modo scientifico come base della strategia di vita da inculcare nella mia giovane testa, finalizzata a sviluppare il senso del dovere da cui forse si sperava sarebbe automaticamente scaturita anche la forza di volontà. Ma il passaggio dall’uno all’altro non è stato esattamente indolore.
Il risveglio della forza di volontà
A circa 16 anni, come molti, mi sono ribellato sostituendo i “devo” con i “voglio”. Il verbo volere è stato, in effetti, una scoperta talmente importante che il suo potere deflagratorio ha rischiato di fare a pezzi il mio mondo precedente. Ogni qual volta la vita mi metteva davanti un “devi” io mi sentivo in dovere (appunto) di opporgli un “voglio” uguale e contrario, con il risultato di allontanarmi da tutto, non riuscendo più ad applicare alcun filtro oggettivo a ciò che mi veniva proposto o richiesto. Un bel periodo incasinato che se ci pensate avrete certamente attraversato anche voi!
Comunque sia, combattuto tra i senso del dovere e forza di volontà sono arrivato alle soglie dell’età adulta più o meno con tutti i pezzi apposto. La maturità ha significato soprattutto l’entrata del mondo del lavoro e ha portato i frutti degli sforzi fatti in precedenza. L’indipendenza, anche economica, mi ha fatto sviluppare – senza che me ne accorgessi – il senso del potere. Mi sono ritrovato a dire (o pensare) frasi che suonavano come “posso avere e dunque pretendere”. Se volgiamo la mia era una rivincita tardiva sul precedente mondo dei “devo”. La trappola gigante che però si celava dentro questa, per certi versi legittima, voglia di rivalsa, era che ben presto il posso smise di essere una reazione ai devo del mio passato ed iniziò a correlarsi preoccupantemente con i voglio.
Volere vs potere
Iniziai dunque a volere le cose per il solo fatto di poterle avere o – il che è ancora peggio – per il fatto che ero io e nessun altro, a poterle avere. Abbiamo capito tutti ciò di cui sto parlando: consumismo allo stadio più cronico. Non solo compravo vestiti e accessori ma anche convinzioni e valori, trasformando il mio rinnovato senso del potere in uno strumento per auto-determinarmi cioè provare ad essere qualcuno. Poi una mattina misi i piedi giù dal letto ed il pavimento mi sembrò particolarmente freddo, così capii che la mia vita era giunta in un luogo dove non volevo stare. Volere e potere tornano a sganciarsi e la loro relazione si fece sempre più complicata. Per superare l’impasse mi venne in soccorso il vecchio, caro, senso del dovere. La mia mente mente infatti iniziò a concepire frasi come questa: “Cosa importa se volevi o potevi? E’ troppo tardi per farsi queste domande, devi alzarti ed andare avanti”. Ci si campa ancora un pò con questi giochi di prestigio della mente, ma poi – nei casi più fortunati come il mio – la bolla scoppia e forza di volontà, senso del dovere e potere tornano a dividersi!
A questo punto, dopo oltre 800 parole, qualcuno si aspetterà una degna conclusione: qualcosa che risolva l’enigma della convivenza tra i tre potenti stimoli che i verbi dovere, volere e potere rappresentano. Mi spiace deludervi ma non ho (ancora) una risposta. So solamente che da un po’ mi trovo in una nuova fase. Potrei definirla una fase etica perché basata su quesiti morali che la differenziano dalle precedenti, permettendomi sì di usare contemporaneamente forza di volontà, senso del dovere e potere, ma solo sotto forma di domande. Per meglio intenderci vi riassumo i miei processi mentali di fronte, ad esempio, ad una scelta: inizio con il chiedermi “Posso fare questa scelta?” poi vado avanti con “Voglio fare questa scelta?”. Se ho risposto si ad entrambe le domande precedenti allora di solito mi dico che devo andare avanti e devo farlo non solo come impegno con me stesso (o con qualche redivivo educatore), bensì per avere l’opportunità di portare il mio messaggio al mondo e ciò che (eventualmente) di buono esso contiene.
| partem claram semper aspice |
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