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di Alberto Aleo

Le statistiche dicono che i possessori di partita IVA in Italia sono circa il 15% della popolazione attiva e questa percentuale a quanto pare è in rapida crescita. Che gran parte dell’economia italiana si regga sulle piccole imprese o sulle professioni non è una novità. Già anni addietro Giapponesi e Americani venivano a studiare “l’anomalia” del sistema di micro-impresa italiano che nonostante le ridotte dimensioni riusciva a competere con successo sul mercato internazionale. Buon senso suggerirebbe quindi che il rilancio economico, la tanto agognata ripresa, passi attraverso il rafforzamento di questa fascia di produzione del PIL. Vero è che la partita IVA a volte nasconde delle forme di para-assunzione forzosa o delle sacche di disoccupazione, ma dietro lo slogan “il lavoro fisso è monotono” a quelli come me che hanno scelto di diventare liberi professionisti era sembrato di leggere un programma di rilancio, ancora di più una vera e propria ri-legittimazione sociale della nostra condizione di lavoratori autonomi. Parlo di ri-leggimazione sociale perché al possessore di partita IVA in questi ultimi anni è sempre più scivolata addosso l’immagine di parassita della società ed evasore, amico della “casta” politica più spregiudicata e corrotta. Di conseguenza è stato sempre più trattato come “colpevole fino a prova contraria” dall’erario, puntualmente abbandonato e ingannato dai suoi presunti referenti politici, mai considerato dai sindacati, esiliato nel limbo della “gestione separata” dal sistema previdenziale…

La cruda (e per certi versi triste) realtà del lavoratore autonomo italiano è invece fatta di richieste di anticipi di tasse calcolati su non meglio precisati “studi di settore” redatti da funzionari che ignorano o fanno finta di ignorare la congiuntura economica attuale, di complessità gestionali utili solo ad alimentare la macchina burocratica e svuotare le tasche costringendo anche chi fattura 20.000 euro l’anno a rivolgersi ad uno studio di commercialisti, imposizioni statali che tra tasse e previdenza superano abbondantemente il 50% delle entrate (e sono spesso da versare in anticipo rispetto a queste). Inoltre per chi possiede la partita IVA di fatto non esistono ammortizzatori sociali, non c’è un modo efficace per tutelarsi in caso di fatture non pagate dai clienti, il sistema finanziario non ha prodotti adeguati con la conseguenza che spesso ne ostacola se non ne impedisce l’operatività.

In questo quadro desolante, noi 15% della popolazione attiva del paese abbiamo respirato una brezza di speranza quando il Presidente del Consiglio ha pronunciato la fatidica frase “Il posto fisso? Monotono”, ma a ben guardare le leggi che il governo si prepara a varare vanno in tutt’altra direzione visto che si parla di aumento delle aliquote e limitazione ai contratti di consulenza, il cui risultato sarà l’interruzione dei rapporti con molti nostri clienti (e quindi un incremento di disoccupazione se vogliamo guardarla da questo punto di vista).

È noto che l’attuale Governo ha una matrice “finanziaria” e che il mondo della finanza – per come è strutturato adesso – considera non interessanti se non addirittura rischiosi tutti i business sotto i 400.000 euro di fatturato, ma vista la struttura economica e industriale del sistema Italia, non converrebbe trovare degli strumenti per rinforzare anche questa fascia di produttori di ricchezza? Come si fa ad invocare la “flessibilità” dei lavoratori quando la categoria professionale più flessibile per sua stessa natura viene continuamente ostacolata?

Non sono un esperto di politica economica ma il buon senso mi suggerisce alcuni argomenti su cui riflettere come:

  • l’adozione di “cedolari secche” per fatturati fino a 200.000 €, che semplifichino il pagamento di tasse e il versamento dei contributi previdenziali;
  • la creazione di organi di rappresentanza (sindacali e politici) in grado di farsi carico delle reali esigenze dei lavoratori autonomi;
  • la creazione di strumenti bancari, e finanziari in genere, dedicati a professionisti e micro imprese che tengano conto del volume di affari potenziale, del curriculum (esperienza + titoli) dei referenti, della solvibilità del portafoglio clienti ma valutino anche altri parametri indiretti e non solo economici per verificare l’affidabilità dell’interlocutore;
  • creazione di un’agenzia governativa di consulenza che aiuti professionisti e piccole imprese a redigere la dichiarazione dei redditi e versare i contributi, controllando alla fonte la correttezza di quanto dichiarato;
  • inasprire o riprogettare le tutele legislative per chi subisce un mancato pagamento, in modo inversamente proporzionale alle dimensioni dell’azienda e del business;
  • strutturare strumenti previdenziali ad hoc, cioè creare una “Cassa previdenza” per i liberi professionisti non legati ad ordini professionali specifici e non inquadrabili in profili ENASARCO, che assicuri anche un minimo di ammortizzatori sociali.

Forse alcuni di questi strumenti già esistono, potrà obiettare qualcuno. Forse è vero, ma allora evidentemente vanno riprogettati e riorganizzati in un unicum organico che li renda visibili e facili da usare, perché altrimenti la loro efficacia continuerà ad essere nulla. Al Governo inoltre lancio un invito alla coerenza ma anche alla pragmaticità: l’Italia non è l’America fatta di multinazionali e giochi di borsa, inutile cercare di assomigliare a un modello in contraddizione con la struttura economica del paese. Piuttosto valorizziamo e supportiamo le nostre diversità.

Le foto utilizzate – là dove non siano di proprietà della redazione o dei nostri ospiti – sono acquistate su Adobe Stock e IStockPhoto o scaricate da piattaforme come UnSplash o Pexels.

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Un percorso accademico non convenzionale insieme ad una carriera manageriale che è durata più di un decennio nel ruolo di responsabile marketing e di direttore vendite per note aziende italiane, mi hanno trasformato in un “architetto” di strategie di mercato. Nel 2011 ho fondato insieme a mia moglie Alice lo studio di consulenza e formazione Passodue il che mi ha permesso di poter mettere a disposizione dei clienti un bagaglio di esperienze e conoscenze molto vario, che spazia dall’economia, al marketing, alla gestione di reti commerciali.

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