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di Alberto Aleo
Vi ricordate la scena del film The Blues Brothers in cui John Belushi dichiara “siamo in missione per conto di Dio” per descrivere il suo progetto di mettere insieme una band? Fa sorridere ma un po’ anche riflettere suggerendo l’idea che anche il talento più “strano” possa essere messo a servizio di una causa superiore. Prendendo spunto da questa battuta leggendaria vorrei capire insieme a voi se esiste un rapporto tra la nostra spiritualità (cui è legato il senso etico) e la possibilità di ottenere successo e ricchezza nella vita. In particolare è possibile essere abili imprenditori rimanendo brave persone? O ancora è possibile che proprio perché si è brave persone si possano ottenere successo e ricchezza?

“E’ più facile che un cammello passi per la cruna di un ago…”

Chi non conosce questa metafora utilizzata da Gesù? Nel corso dei secoli il suo significato è stato fuorviato e qualche cattivo interprete, dagli interessi più bolscevichi che religiosi, l’ha posta alla base dell’eterno conflitto tra successo e salvezza che angustia la nostra società da generazioni. Più o meno direttamente ci è infatti stato insegnato sin da bambini che nella vita è necessario scegliere: o essere etici e rimanere poveri ma onesti oppure provare a scalare la vetta del successo nella certezza però che diventando ricchi perderemo la nostra anima. Un bivio che ci pone davanti ad una rinuncia grave, contrapponendo benessere materiale a benessere interiore. Questa dicotomia oltretutto ha l’effetto di autorizzare le “brave” persone ad essere rinunciatarie e a guardare in cagnesco chi invece ottiene risultati, il quale a sua volta si ritiene legittimato a comportarsi in modo poco etico, tanto il “regno dei cieli” gli sarà comunque precluso. E’ in rapporto a questa frattura sociale, questo negare lo scopo comunitario del ruolo della ricchezza, che Max Webber evidenziò nel suo L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, i limiti dell’approccio cattolico all’economia.

Far fruttare i nostri “Talenti”

Il riferimento è all’altra nota parabola dei Vangeli nella quale il padrone rimprovera il servo che non ha dimostrato iniziativa e creatività nel mettere a frutto quanto gli era stato dato. Che fare allora se in dono abbiamo ricevuto il “talento” per fare soldi? Dovremmo seguire la nostra inclinazione e metterla al servizio della comunità o seppellirla per paura di restare fuori dal regno dei cieli? Per rispondere a queste domande dobbiamo guardare con attenzione al ruolo positivo dell’economia, del profitto e della ricchezza nelle nostre società. Lo sviluppo economico sano ha permesso l’evoluzione dell’umanità, consentendoci di raggiungere conquiste altrimenti impensabili. Il profitto però non può essere considerato solo materiale, lo stesso vale per la ricchezza e il benessere che ne derivano. Solo allargandone il significato chi ha il talento di generarli potrà ricoprire un ruolo sociale fondamentale e potrà fare del bene a se e agli altri. È chiaro che anche il processo di produzione della ricchezza deve essere virtuoso ed etico, soprattutto l’imprenditore non deve dimenticare il senso ultimo del suo agire che appunto è il benessere condiviso e non il bene-avere egoistico. Per capire i vantaggi di questo cambio di visione strategica vi invito a rileggere il bell’articolo di Paolo Celli ed Elisabetta Casali dedicato alla Buona Causa.

Dare e Ricevere

Se ci pensate l’essenza stessa dell’attività economica ci obbliga a concentrarci principalmente e in modo prioritario sul dare e poi sul ricevere. Come ricordato nell’articolo Investimenti e Ricavi una delle leggi base del mercato dichiara che i ricavi seguono e non anticipano gli investimenti. Concentrarsi sui ricavi, cioè sul ricevere, senza prima aver progettato adeguati investimenti, quindi il dare, significa dunque tradire i principi base del mercato e assumere una visione egoistica e opportunistica che non solo è sbagliata in termini morali ma è anche antieconomica. Sembra allora che morale ed economia abbiano più di un punto di contatto e che il talento di “far soldi” consista nel saper mettere a frutto la propria capacità di dare prima ed in anticipo qualcosa a qualcuno che poi saprà trasformarlo in benessere e ricchezza anche per noi. Nel business plan quindi concentrare l’attenzione su ciò che si dà e su ciò che i clienti e la società riceveranno è il modo migliore e più sicuro, oltre che etico, per raggiungere buoni risultati!

E’ venuto il momento per il nostro paese di riabilitare il ruolo della ricchezza e del successo, evitando di contrapporre questi due termini ad etica e spiritualità. Solo integrandoli e dando la possibilità ai ricchi e agli imprenditori con idee di “entrare nel regno dei cieli” potremo sperare di averli al nostro fianco nella costruzione di una vera economia del benessere condiviso. L’alternativa è escluderli per sempre e a priori, condannandoli, e in un certo senso autorizzandoli, ad essere egoisti e immorali. E’ difficile sì ma fede e dedizione ci verranno senz’altro in aiuto.

NOTA: Durante la nostra esperienza abbiamo raccolto molte storie di imprenditori e professionisti che hanno saputo conciliare etica e successo. Alcune ve le abbiamo raccontate nella rubrica Storie di Etica, altre sono entrate a far parte del documentario FIL – Felicità Interna Lorda nel quale anche noi siamo protagonisti, ma ce ne sono certamente molte ancora che varrebbe la pena raccontare. Se vuoi segnalarcele scrivici qui

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Un percorso accademico non convenzionale insieme ad una carriera manageriale che è durata più di un decennio nel ruolo di responsabile marketing e di direttore vendite per note aziende italiane, mi hanno trasformato in un “architetto” di strategie di mercato. Nel 2011 ho fondato insieme a mia moglie Alice lo studio di consulenza e formazione Passodue il che mi ha permesso di poter mettere a disposizione dei clienti un bagaglio di esperienze e conoscenze molto vario, che spazia dall’economia, al marketing, alla gestione di reti commerciali.

Questo articolo ha 3 commenti

  1. Post molto interessante. Tutto da leggere. Grazie per il tempo che hai dedicato a scriverlo.

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